Politica economica globale
Cina fonte di timori, ma Evergrande non è Lehman come non lo erano le banche Usa
Drammatizzazione mediatica ma reazione contenuta dei mercati, che guardano più al summit dei banchieri centrali di Jackson Hole e a quello ‘alternativo’ dei Brics
di Stefano Caratelli 21 Agosto 2023 09:06
Rieccoci al nuovo ‘caso Lehman’. Questa volta l’epicentro non sono le banche regionali Usa come tre mesi fa ma il colosso immobiliare cinese Evergrande, in stranote condizioni finanziarie disastrate. A far scattare l’allarme rosso nei titoli dei media, che specialmente ad agosto sono obbligati a ‘sanguinare’, è stata la richiesta di protezione dai creditori per gli asset Usa, a norma del chapter 15 della legge fallimentare americana, dedicato ai casi di crisi debitorie transfrontaliere. Da oltre due anni Evergrande con un’esposizione anche questa stranota di 300 miliardi di dollari, riesce a fatica a onorare le scadenze del debito solo grazie all’aiuto pubblico di Pechino. Sui mercati l’impatto è stato decisamente modesto, perfino a Shanghai, con gli investitori più concentrati sui messaggi che possono arrivare dal simposio delle banche centrali di Jackson Hole, in Wyoming, che si tiene a metà settimana, con un occhio anche al summit dei Brics in Sudafrica e all’avvitamento inflazione-tassi in Turchia.
Un anno fa gli investitori erano concentrati sul timore che la stretta delle banche centrali causasse una recessione, questa vola scrutano la località montana del Nord Ovest americano dove si riuniscono i capi di Fed, Bce, Bank of England e Banca del Giappone nella speranza di inflazione in rientro ed economie in recupero, anche se l’avvio di un nuovo ciclo accomodante sembra lontano. I rendimenti obbligazionari continuano a puntare al rialzo e innervosiscono anche Wall Street. Le principali economie sviluppate sembrano comunque in forma migliore della seconda parte del 2022, anche se la spinta primaverile della ripresa ha perso colpi, come mostrano gli indici PMI che registrano l’andamento dell’attività manifatturiera e dei servizi soprattutto nell’Eurozona dove anche la seconda componente ha rallentato.
In Cina lo stesso indicatore viaggia in area 52, in espansione ma ben sotto i massimi del 2023, toccati con il rimbalzo dopo le riaperture post-lockdown che l’aveva spinto in contrazione nell’ultima parte del 2022.
In significativa coincidenza, mentre i governatori della moneta dei paesi sviluppati si riuniscono, a quasi 10.000 miglia di distanza i leader dei Brics, l’acronimo che sta per Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa, tengono il loro vertice a Johannesburg, nel tentativo finora senza grande successo di trasformare il gruppo in un contrappeso all’Occidente. Fuori della porta dei Brics ci sono una quarantina di paesi che aspirano più o meno apertamente a unirsi, tra cui Arabia Saudita, Argentina e Egitto, ma non tutti quelli che oggi fanno parte del gruppo sono pronti a consentire nuovi ingressi, a cominciare dal Brasile. Putin, inseguito da un mandato di cattura internazionale, ci sarà solo in modalità virtuale, mentre i cinesi hanno altro a cui pensare, con il caso Evergrande di nuovo in prima pagina.
Per essere sostenibile, una ripresa dell’economia mondiale non può fare a meno del motore cinese. Il problema è capire se la frenata della Cina ha toccato il fondo e soprattutto se lo hanno toccato le aspettative negative ormai diffuse a livello globale tra mercati e investitori. Il freno a mano tirato della seconda economia del pianeta è lo squilibrio tra gli investimenti, spesso alimentati dal debito e concentrati nell’immobiliare, che ammontano al 40% del PIL, circa il doppio del rivale americano, mentre i consumi, che in Usa invece rappresentano il 70% del reddito nazionale, in Cina arrivano appena al 38%, anche prima che arrivasse il Covid. E’ una malattia di cui ha già sofferto il Giappone in fase acuta nell’ultima decade dello scorso millennio da cui non è ancora del tutto guarito. Gli analisti sono in cerca di segnali di vita dei consumatori cinesi e hanno cominciato a scorgere qualcosa nelle ultime trimestrali di JD.com, Tencent e Alibaba, che segnalano uno stabile recupero della spesa al dettaglio. Per far partire i consumi a livelli più vicini a quelli occidentali bisogna sbloccare il risparmio cementato negli immobili invenduti. In assenza di inflazione, i margini non mancano alla politica fiscale e monetaria.
Goldman Sachs ad esempio vede aprirsi una finestra per acquisti selettivi sull’azionario cinese nei settori delle piattaforme, dei servizi al consumo, nella catena produttiva delle auto elettriche, nelle rinnovabili e nel manifatturiero high-tech. Il rischio vero non sembra una nuova Lehman che esplode con Evergrande, ma che la Cina di Xi Jinping cerchi di uscire dal vicolo cieco in cui si è cacciata puntando sul nazionalismo e l’avventurismo geopolitico per tirare su il morale. Intanto non mancano in giro per il mondo segnali di tensioni monetarie e finanziarie, come in Turchia, dove il nuovo governatore della banca centrale si prepara al terzo rialzo consecutivo dei tassi, che già viaggiano al 17,5%, per cercare di frenare un’inflazione proiettata al 60% nel 2024, mentre anche l’Argentina è alle prese con problemi simili. Un problema che riguarda anche la Cina, visto che è il maggior creditore delle economie in via di sviluppo di media dimensione.
Bottom line. Per fortuna agosto sta per finire, insieme al caldo e al sensazionalismo mediatico che di solito lo accompagna. Speriamo che da Jackson Hole arrivino messaggi di saggezza, che da Johannesburg i Brics non esagerino con pretese di nuovo ordine mondiale, e che Xi Jinping resista a tentazioni pericolose soprattutto per i cinesi.
ECONOMIE IN GALLEGGIAMENTO, ANCORA LONTANO L’ALLENTAMENTO MONETARIO
Un anno fa gli investitori erano concentrati sul timore che la stretta delle banche centrali causasse una recessione, questa vola scrutano la località montana del Nord Ovest americano dove si riuniscono i capi di Fed, Bce, Bank of England e Banca del Giappone nella speranza di inflazione in rientro ed economie in recupero, anche se l’avvio di un nuovo ciclo accomodante sembra lontano. I rendimenti obbligazionari continuano a puntare al rialzo e innervosiscono anche Wall Street. Le principali economie sviluppate sembrano comunque in forma migliore della seconda parte del 2022, anche se la spinta primaverile della ripresa ha perso colpi, come mostrano gli indici PMI che registrano l’andamento dell’attività manifatturiera e dei servizi soprattutto nell’Eurozona dove anche la seconda componente ha rallentato.
ATTIVITA’ GLOBALE IN GALLEGGIAMENTO
In Cina lo stesso indicatore viaggia in area 52, in espansione ma ben sotto i massimi del 2023, toccati con il rimbalzo dopo le riaperture post-lockdown che l’aveva spinto in contrazione nell’ultima parte del 2022.
LE VELLEITA’ DEI BRICS DI ESSERE UN POLO ‘ALTERNATIVO’
In significativa coincidenza, mentre i governatori della moneta dei paesi sviluppati si riuniscono, a quasi 10.000 miglia di distanza i leader dei Brics, l’acronimo che sta per Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa, tengono il loro vertice a Johannesburg, nel tentativo finora senza grande successo di trasformare il gruppo in un contrappeso all’Occidente. Fuori della porta dei Brics ci sono una quarantina di paesi che aspirano più o meno apertamente a unirsi, tra cui Arabia Saudita, Argentina e Egitto, ma non tutti quelli che oggi fanno parte del gruppo sono pronti a consentire nuovi ingressi, a cominciare dal Brasile. Putin, inseguito da un mandato di cattura internazionale, ci sarà solo in modalità virtuale, mentre i cinesi hanno altro a cui pensare, con il caso Evergrande di nuovo in prima pagina.
IN CERCA DI SEGNALI DI VITA DEI CONSUMATORI CINESI
Per essere sostenibile, una ripresa dell’economia mondiale non può fare a meno del motore cinese. Il problema è capire se la frenata della Cina ha toccato il fondo e soprattutto se lo hanno toccato le aspettative negative ormai diffuse a livello globale tra mercati e investitori. Il freno a mano tirato della seconda economia del pianeta è lo squilibrio tra gli investimenti, spesso alimentati dal debito e concentrati nell’immobiliare, che ammontano al 40% del PIL, circa il doppio del rivale americano, mentre i consumi, che in Usa invece rappresentano il 70% del reddito nazionale, in Cina arrivano appena al 38%, anche prima che arrivasse il Covid. E’ una malattia di cui ha già sofferto il Giappone in fase acuta nell’ultima decade dello scorso millennio da cui non è ancora del tutto guarito. Gli analisti sono in cerca di segnali di vita dei consumatori cinesi e hanno cominciato a scorgere qualcosa nelle ultime trimestrali di JD.com, Tencent e Alibaba, che segnalano uno stabile recupero della spesa al dettaglio. Per far partire i consumi a livelli più vicini a quelli occidentali bisogna sbloccare il risparmio cementato negli immobili invenduti. In assenza di inflazione, i margini non mancano alla politica fiscale e monetaria.
FOCOLAI DI TENSIONE IN TURCHIA E ARGENTINA
Goldman Sachs ad esempio vede aprirsi una finestra per acquisti selettivi sull’azionario cinese nei settori delle piattaforme, dei servizi al consumo, nella catena produttiva delle auto elettriche, nelle rinnovabili e nel manifatturiero high-tech. Il rischio vero non sembra una nuova Lehman che esplode con Evergrande, ma che la Cina di Xi Jinping cerchi di uscire dal vicolo cieco in cui si è cacciata puntando sul nazionalismo e l’avventurismo geopolitico per tirare su il morale. Intanto non mancano in giro per il mondo segnali di tensioni monetarie e finanziarie, come in Turchia, dove il nuovo governatore della banca centrale si prepara al terzo rialzo consecutivo dei tassi, che già viaggiano al 17,5%, per cercare di frenare un’inflazione proiettata al 60% nel 2024, mentre anche l’Argentina è alle prese con problemi simili. Un problema che riguarda anche la Cina, visto che è il maggior creditore delle economie in via di sviluppo di media dimensione.
Bottom line. Per fortuna agosto sta per finire, insieme al caldo e al sensazionalismo mediatico che di solito lo accompagna. Speriamo che da Jackson Hole arrivino messaggi di saggezza, che da Johannesburg i Brics non esagerino con pretese di nuovo ordine mondiale, e che Xi Jinping resista a tentazioni pericolose soprattutto per i cinesi.
Trending