L'analisi

Il ritorno del rischio globale del debito pubblico, ecco gli errori da evitare

Soprattutto negli Usa i livelli record stanno alimentando timori che saranno cavalcati in campagna elettorale. Falsi allarmi possono minare la fiducia. Importanti sostenibilità e crescita, soprattutto nei Paesi Emergenti

di Stefano Caratelli 4 Settembre 2023 08:24

financialounge -  mercati Weekly Bulletin
Nel mese di settembre da sempre il tema dei conti pubblici domina la scena politica ed economica in Italia, si prepara la ‘manovra’ e ci si interroga sulla sostenibilità del debito pubblico. Ma il tema è globale, e al centro della discussione anche in USA dove ci si chiede quanto e quando il tema del debito federale in esplosione finirà per impattare anche Wall Street. E’ un tormentone destinato a durare, di cui abbiamo avuto un assaggio qualche mese fa con lo psicodramma sul tetto all’indebitamento e il taglio del rating del merito di credito americano, che probabilmente dominerà la campagna per le presidenziali che si apre ufficialmente a febbraio ma è già partita. Il debito pubblico americano ha raggiunto il record dei 32.000 miliardi di dollari, un terzo circa del totale globale, quasi tre volte quello cumulato dell’intera Europa. In tempi di tassi di interesse quasi zero e inflazione assente il debito non era un problema, rifinanziarlo emettendo Treasury costava quasi niente. Ma adesso si teme una spirale pericolosa tra inflazione e tassi elevati, che possa spingere il costo del finanziamento a livelli che potrebbero alla fine impattare la crescita, i consumi, e in ultima analisi gli utili delle imprese.


ATTENZIONE IN USA, MA EMERGENTI PIU’ ESPOSTI


Il debito non è per forza ‘cattivo’, come insegna Mario Draghi, può anzi essere una leva potente per accelerare la crescita. Non è un caso che nei Paesi Emergenti il debito pubblico stia conoscendo un’impennata ancora più verticale di quello americano, tra il 2000 e la fine del 2022 è aumentato di otto volte e mezzo, contro meno di quattro volte nei Paesi sviluppati. Il grosso va ovviamente a finanziare gli investimenti, specialmente infrastrutturali, quindi la crescita futura a cui servono reti energetiche, di telecomunicazioni e trasporti moderne e efficienti. Ma Una parte consistente va ad educazione e sanità, anche qui crescita futura, che ha bisogno di forza lavoro professionalmente adeguata e in salute. Il problema, da quando è finita l’era dei tassi zero, soprattutto nell’area sviluppata, è il costo, vale a dire gli interessi pagati per emettere debito e rifinanziarlo. Un problema che sta preoccupando molto in USA, vista la mole raggiunta dal debito in termini assoluti, ma più serio nei Paesi meno sviluppati, quelli africani pagano oltre quattro volte gli USA e quasi otto volte i paesi europei con i conti più in ordine, secondo i dati Onu riferiti al 2022.


PIU’ DELLA DIMENSIONE CONTA LA PERCEZIONE


Il problema del debito non è la dimensione, come mostra il caso del Giappone, il cui debito è oltre 2,6 volte più grande del reddito prodotto in un anno, il che non impedisce che lo yen e i titoli di Stato siano considerati un bene rifugio globale, o i casi di paesi finanziariamente disastrati e devastati dall’inflazione, come Argentina, Turchia e Russia, dove il debito pubblico è invece molto basso. Quello che conta è la percezione della sostenibilità del debito. L’Italia ad esempio, dal suo ingresso nell’euro fino al 2007, aveva un differenziale di rendimento rispetto alla Germania, il famoso spread, contenuto in una manciata di punti base, nonostante il debito più alto dell’Unione rispetto al PIL, e riusciva a finanziarsi a un costo molto vicino a quello della virtuosa Germania. Poi la crisi finanziaria globale prima, e la crisi del debito sovrano europeo poi, hanno minato la fiducia sulla sostenibilità, perché venne messa in dubbio la permanenza nella moneta unica, percepita come garanzia di solvibilità accettabile dai mercati. Un dubbio riemerso a più riprese fino all’arrivo di Mario Draghi. Fino a che la permanenza nell’euro resta una certezza, i rischi restano limitati, come mostra uno spread stabile sotto i 170 punti.


ALLA FINE CONTA LA CRESCITA


Nella percezione dei mercati, soprattutto nell’area sviluppata, quello che conta per ora è la crescita. Se si cerca su Google ‘the sick man of Europe’, il malato d’Europa, viene fuori la Germania, fino a poco tempo fa si poteva scommettere sull’Italia. Il problema è che la crescita è una specie di polizza di assicurazione sulla sostenibilità del debito, e se viene a mancare troppo a lungo diventa un problema serio. Con il costo di finanziamento tornato relativamente elevato, una spirale di inflazione persistentemente alta e crescita stabilmente molto bassa può diventare pericolosa, nella percezione di investitori e mercati. Nei prossimi trimestri bisognerà abituarsi a un po’ di drammatizzazione sul tema del debito pubblico, che sicuramente verrà cavalcato nella lunga campagna elettorale per la Casa Bianca che sta per iniziare. Così come in quella delle elezioni europee del prossimo anno, sperando che il problema venga almeno in parte tolto dal tavolo da una riscrittura ragionevole del Patto di Stabilità.


DOLLARO SEMPRE PERNO DEL SISTEMA


Drammatizzazione non vuol dire per forza rischio reale. Il debito americano, per quanto imponente, resta denominato in dollari, che restano lo strumento di pagamento dominante negli scambi globali e il bene rifugio per eccellenza, nonostante le velleità dei BRICS, che tuttavia pongono un problema reale. Il Sud del mondo, mettendoci dentro anche il grosso dell’Asia oltre all’America Latina, ha bisogno di un’àncora monetaria che stabilizzi in qualche modo il rapporto della miriade di valute emergenti con il dollaro, e magari anche l’euro, una specie di nuova Bretton Woods che aiuti a finanziare la crescita con un debito sostenibile.


BOTTOM LINE


Il debito pubblico, soprattutto americano, va aggiunto alla lista dei rischi sistemici che nei prossimi trimestri saranno evocati come nuova minaccia per la stabilità dei mercati e la sicurezza degli investimenti. Da tenere d’occhio più per i falsi allarmi che può far scattare, e che magari possono offrire opportunità all’investitore che ha accantonato un po’ di liquidità da mettere al lavoro al momento giusto.

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