Le conseguenze

Guerra in Israele e mercati, l’opinione delle case di investimento internazionali

Le analisi delle case di investimento dopo l’attacco terroristico di Hamas seguito dalla risposta dell’esercito israeliano: ecco cosa potrebbe succedere sui mercati e quali sono le asset class più esposte

di Antonio Cardarelli 9 Ottobre 2023 14:16

financialounge -  guerra israele mercati petrolio
In una fase delicata del ciclo economico globale, con banche centrali e governi alle prese con inflazione e dati macroeconomici contrastanti, l’attacco terroristico di Hamas nel Sud di Israele aggiunge altra incertezza. Il petrolio ha reagito con aumenti tutto sommato contenuti, ma si teme un allargamento del conflitto che potrebbe avere conseguenze peggiori. Ecco cosa ne pensano gli esperti di alcune case di investimento internazionali.

LA TEDESCA ALLIANZGI: VOLATILITÀ IN AUMENTO E FLY TO QUALITY


“Lo scoppio del conflitto tra Israele e Hamas aggiunge un ulteriore fattore di forte incertezza ad un contesto macro economico già di per sé estremamente complicato – commenta Massimiliano Maxia, senior product specialist, Allianz Global Investors- Nell’immediato, ci attendiamo che la volatilità possa aumentare e che ciò possa portare ad un movimento di “Fly to Quality” in cui gli investitori riducono ulteriormente il rischio all’interno dei loro portafogli”. Quindi, secondo l’esperto, potrebbe performare bene la componente governativa dei Paesi core, mentre i risky assets diventerebbero più volatili, così come è ragionevole attendersi un aumento dei prezzi delle matrie prime, a partire dal petrolio. “Chiaramente molto dipenderà da un eventuale allargamento del conflitto ad altri paesi del Medio Oriente e dalla durata del conflitto stesso, anche se su questo aspetto temiamo che non possa essere qualche cosa di risolvibile in tempi brevi. I mercati finanziari torneranno sicuramente anche a guardare alle solite variabili, cioè inflazione, banche centrali eccetera, ma chiaramente il fattore geopolitico sta diventando una variabile sempre più determinante nelle valutazioni di carattere economico e finanziario”, conclude Maxia.

LA FRANCESE EDMOND DE ROTHSCHILD AM: NESSUNA MODIFICA ALL’ASSET ALLOCATION


Benjamin Melman, Global CIO Asset Management di Edmond de Rothschild AM, sottolinea la reazione “misurata” dei mercati agli eventi in Israele, con una “leggera fuga verso la qualità, mercati azionari e rendimenti obbligazionari in calo”. Secondo l’esperto il rischio principale è l’aggravarsi della situazione con un potenziale scontro tra Israele e Iran. “Ciò avrebbe conseguenze molto gravi. L'Iran non solo è un grande produttore di petrolio, ma potrebbe nuovamente bloccare lo Stretto di Hormuz e distruggere i campi petroliferi vicini”, commenta Melman. “Nessuno può dire per il momento se la risposta sarà simile a quelle viste in passato o se il puro shock di ciò che è accaduto potrebbe portare a un'estensione del conflitto. Il fatto che il governo israeliano sia stato indebolito dalle sue riforme costituzionali potrebbe rendere la sua reazione meno prevedibile. Di conseguenza, è logico applicare un premio di rischio ai mercati. Per il momento non c'è motivo di modificare la nostra posizione di asset allocation. Aspettiamo di vedere come si evolve la situazione prima di prendere posizione”, conclude Melman.

GRUPPO BCC ICCREA: DIFFICILE VEDERE ALTRI RIALZI DEI TASSI


“Quanto sta accadendo in Israele, se si esclude l'ipotesi di un allargamento del conflitto al Libano e all'Iran, avrà, a nostro avviso, un impatto piuttosto limitato sui mercati finanziari rispetto a quanto accaduto negli anni '70. Tutto ciò in ragione dell'indipendenza energetica raggiunta dagli Stati Uniti e del fatto che gli altri Paesi occidentali hanno diversificato nel tempo, soprattutto recentemente a causa del conflitto in corso in Ucraina, le loro fonti di approvvigionamento", commenta Daniele Caroni, Responsabile Finanza del Gruppo BCC Iccrea. "Va comunque detto che, un aumento prolungato del prezzo medio del petrolio avrebbe comunque ripercussioni negative sull'inflazione e potrebbe costringere le banche centrali a mantenere i tassi di interesse in territorio restrittivo per più tempo di quanto scontato oggi dai mercati. Al contempo, tale scenario comporterebbe rischi al ribasso sulle previsioni di crescita economica a causa dell'effetto recessivo che il rialzo del prezzo del petrolio genera, pertanto, anche uno shock sui costi dell'energia difficilmente, nell'attuale scenario, si tradurrà in una nuova corsa al rialzo dei tassi di interesse”, conclude l'esperto.

L’AMERICANA BNY MELLON: “IMPORTANTE MANTENERE LA STABILITÀ”


"In circostanze come questa, mantenere la stabilità è più importante dei livelli", ha dichiarato Geoffrey Yu, stratega valutario e macro presso BNY Mellon a Londra riferendosi all’andamento dello shekel, la valuta israeliana. "Nel breve termine, ci sarà una certa volatilità sui mercati, ma ci aspettiamo che sia gestibile. Il sostegno alla liquidità è atteso e la Banca d'Israele è molto esperta in queste questioni", ha aggiunto l’esperto intervistato da Bloomberg.

CFE FINANCE GROUP: ULTERIORE INCERTEZZA SUI MERCATI


Alessandro Cominelli, specialista dei mercati finanziari ed Executive Director di CFE Finance Group, si sofferma sull’andamento del dollaro Usa, “un po’ più forte su tutti i cross” e sull’aumento del prezzo del petrolio. Tuttavia, secondo l’esperto nonostante la gravità della situazione i mercati nel complesso hanno reagito in modo composto. “In termini di aspettative future vedremo quali saranno le mosse dei principali Paesi potenzialmente coinvolti a livello diplomatico, solo allora avremo una situazione più chiara a livello geopolitico. Sicuramente per i mercati finanziari una ulteriore incertezza che si va ad aggiungere a variabili come inflazione attesa, dinamiche di politica monetaria e andamento degli utili aziendali”, spiega Cominelli.

LA SVIZZERA ZEST: REDDITO FISSO A BREVE TERMINE NUOVO RIFUGIO SICURO


Il Team di Gestione di Zest evidenzia come i fatti della Striscia di Gaza abbiano influito negativamente non solo sull’andamento della Borsa israeliana, ma anche di quelle delle altre regioni mediorientali. “In linea generale, stiamo assistendo ad una reazione prevedibile a fronte di quanto successo negli ultimi giorni: tensioni del genere generano incertezza e potenzialmente una vendita di azioni, in particolare quelle di aziende con esposizione diretta alla regione”, spiegano gli esperti. Il conflitto potrebbe avere implicazioni per il petrolio, con una spinta al rialzo dei prezzi, mentre valute rifugio come dollaro o franco svizzero potrebbero beneficiare. Gli esperti di Zest, inoltre, rilevano un aumento dell’incertezza sui mercati, con influenza negativa su crescita e inflazione: “Il rischio geopolitico sale, spingendo il reddito fisso a breve termine a diventare nuovamente un rifugio sicuro mentre mette in evidenza i settori ciclici. Questi sviluppi sottolineano la natura intrecciata degli eventi geopolitici e dei mercati finanziari, dove i conflitti possono influenzare significativamente la dinamica del mercato, la fiducia degli investitori e la stabilità economica nelle regioni interessate e potenzialmente anche oltre”.

LA SPAGNOLA ICAPITAL: PERICOLO DA UN AMPLIAMENTO DELLA GUERRA


"Tralasciando il dramma umano, le conseguenze di tutto questo non dovrebbero essere particolarmente negative per i mercati finanziari, a patto che la stabilità della regione e l'espansionismo violento dell'Iran nel campo della sicurezza non complichino ulteriormente il conflitto", commenta Guillermo Santos, head of strategy di iCapital. "È evidente che un'eventuale estensione ai Paesi produttori di petrolio, Arabia Saudita in testa, potrebbe rendere più caro il prezzo del greggio con effetti inflazionistici negativi per l'Occidente e significherebbe tassi più alti più a lungo e mercati azionari in calo se quanto sopra causasse una recessione", conclude.

L’AMERICANA STATE STREET GM: CONSEGUENZE MENO GRAVI DEL 1973


Anthi Tsouvali, stratega multi-asset di State Street Global Markets, evidenzia come il momento del conflitto non poteva essere peggiore, visti i colloqui in corso tra Arabia Saudita e Israele. L’esperto sottolinea le “evidenti implicazioni sui prezzi del petrolio” e alla luce del contesto di risk-off già in corso, ciò potrebbe portare altri ribassi sull’azionario. "Tuttavia, data la fase del ciclo economico e il rallentamento della domanda globale, l'impatto del conflitto non sarebbe così grave come quello della precedente crisi energetica del 1973, in quanto potremmo potenzialmente vedere una maggiore capacità dell'Arabia Saudita entrare nel mercato, se necessario, per soddisfare la domanda. I mercati azionari dovrebbero vedere tutto questo in termini di riprezzamento degli asset rischiosi, ma il sentiment potrebbe rimanere basso più a lungo, dato che la narrativa del mercato si sposta da un atterraggio morbido a un rialzo più lungo e, nel lungo periodo, questo sarebbe negativo per i mercati azionari”, afferma Tsouvali.

BANK OF SINGAPORE: I RISCHI DELL’AUMENTO DEL PETROLIO


"I mercati finanziari si preoccupano del rischio che l'aumento dei prezzi del petrolio faccia salire i rendimenti dei titoli di Stato globali. Se il conflitto si allargasse in tutta la regione, le forniture di petrolio potrebbero essere minacciate e per l’Arabia Saudita non sarà semplice aumentare la produzione”, commenta Mansoor Mohi-uddin, capo economista della Bank of Singapore Ltd. “Se si ritiene che l'Iran abbia scatenato le ostilità a Gaza e nel sud di Israele, è probabile che gli Stati Uniti inaspriscano l'applicazione delle sanzioni esistenti sulle esportazioni di petrolio iraniano. Tutti questi fattori potrebbero spingere i prezzi del petrolio al rialzo nel breve termine e quindi aumentare i timori inflazionistici a livello globale", conclude.

LA DANESE SAXO BANK: NESSUN IMPATTO ENORME IN VISTA SUI MERCATI


Andrea Tueni, responsabile delle vendite di trading di Saxo Bank France, non si aspetta un impatto enorme sui mercati europei o statunitensi, anche se molto dipenderà dall’evoluzione del conflitto. “L'unica asset class a cui si può guardare per una possibile reazione è il petrolio, ma non mi aspetto una grande impennata dei prezzi visto che al momento non c'è alcun impatto sull'offerta. Non si può paragonare la situazione del petrolio a quella del 1973. Se il conflitto dovesse assumere un'altra dimensione, se per esempio Israele dovesse colpire direttamente le infrastrutture iraniane, sarebbe tutta un'altra storia, ma al momento è troppo presto", spiega l’esperto.

LA SVIZZERA UBP: EFFETTI PIÙ GRAVI SE CONFLITTO SI PROLUNGA


Secondo Norman Villamin, Group Chief Strategist di Union Bancaire Privée (UBP), gli attacchi terroristici interni (Madrid 2004, Londra 2005, ecc.) hanno storicamente avuto solo un impatto temporaneo sui mercati, con l'S&P 500 in rialzo, in media, dai 3 ai 12 mesi dopo. In questo caso il rischio è quello di un conflitto prolungato che coinvolga più nazioni, cosa che rappresenterebbe un ostacolo per i rendimenti azionari statunitensi su un orizzonte almeno di sei mesi. “Poiché le esportazioni iraniane e i rilasci dalla riserva petrolifera strategica degli Stati Uniti hanno praticamente compensato i tagli all'offerta saudita avvenuti da settembre, una risposta globale che riduca l'offerta iraniana senza che l'Arabia Saudita compensi con un aumento della produzione creerebbe un nuovo shock dell'offerta per i mercati energetici globali – commenta l’esperto - Con i titoli azionari del settore energetico storicamente a buon mercato su base assoluta e rispetto al mercato più ampio, il settore potrebbe offrire un rifugio sicuro nel contesto di incertezza geopolitica emerso nel fine settimana”.

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