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Italia alle prese con spread e rating debito, tassi globali alla rovescia ma non può durare

Non è più tanto lo spread ma il costo del debito a pesare sul giudizio in arrivo di S&P, Fitch e Moody’s. La curva invertita dei tassi globali genera incertezza e volatilità ma non può durare ancora troppo a lungo

di Stefano Caratelli 9 Ottobre 2023 07:58

financialounge -  italia
Nel mirino di mercati e investitori che guardano all’Italia non c’è più tanto lo spread, vale a dire il differenziale di rendimento tra il BTP italiano a 10 anni e l’equivalente Bund tedesco, che per oltre un decennio è stato il termometro della sostenibilità e dell’appetibilità italiane, ma il debito stesso, la sua dimensione e soprattutto la dinamica del suo costo. A 200 punti lo spread è lontano dai livelli di guardia, ma un rendimento del 5% qualche campanello d’allarme invece lo fa suonare. Con un Bund che rende zero o anche a -0,7%, come appena poco tempo fa, 200 punti vuol dire pagare l’1,5% di interesse a 10 anni, mentre con il decennale tedesco al 3% vuol dire appunto il 5%.


SOTTO ESAME LA SOSTENIBILITA’ A LUNGO TERMINE


Il rendimento chiesto dagli investitori per comprare sul mercato debito italiano non si scarica immediatamente sul suo costo, per vederne i primi effetti ci vogliono diversi trimestri e perché diventi insostenibile servono anni. Ma le grandi agenzie di rating che tra il 20 ottobre e il 17 novembre daranno i loro voti in termini di rating all’Italia mettono le cose in prospettiva, e valutano appunto la sostenibilità di medio-lungo termine. Oggi i giudizi rientrano nella categoria Investment Grade: Standard & Poor’s che sarà la prima oggi assegna un BBB con outlook stabile, come anche Fitch che seguirà il 17, e anche Moody’s con il suo Baa3, che però ha già avvertito come l’Italia rischiasse di perdere questo status e scivolare in area High Yield, che qualcuno preferisce chiamare ‘junk’, che vuol dire rischio e rendimento elevati.


IL PARADOSSO USA DI RENDIMENTI PIU’ ALTI A BREVISSIMO CHE A 10 ANNI


Ne è consapevole il ministro dell’Economia Giorgetti che ha evitato di sbandierare uno spread tutto sommato sotto controllo e ha sottolineato che un “grande debito non consente di fare svarioni” nella manovra di bilancio per il 2024 che il governo Meloni sta preparando. Il problema per Moody’s & Co sarà di capire quanto sia ascoltata la voce di Giorgetti dal governo nel suo insieme e dalla sua maggioranza. Il tutto va in scena in un mondo alla rovescia in materia di tassi e investimenti obbligazionari. Negli USA impiegare il denaro su scadenze brevissime, giorni o settimane, rende tra il 5,5-6%, mentre l’investimento in debito federale a 10 anni ripaga con meno del 4,8%. In Eurozona la situazione è simile per il Bund tedesco e similari, che rendono un punto percentuale pieno meno dell’impiego a brevissimo, ma il discorso cambia per il BTP che paga lo stesso punto pieno più del tasso della BCE.


L’INVERSIONE DELLA CURVA STA DURANDO TROPPO


E’ la famosa “inversione della curva”, vale a dire rendimenti a breve più alti di quelli a lunga, che normalmente dovrebbe segnalare una recessione in arrivo nell’arco di 12 massimo 18 mesi. Questo per gli effetti di alti tassi a breve che raffreddano l’economia fino a fermarla, e solo a quel punto la Banca Centrale, visto che anche l’inflazione rientra di conserva, abbassano i tassi per farla ripartire, facendo tornare la curva alla normalità. L’attuale inversione è iniziata in USA a marzo del 2022, quando la Fed ha iniziato a stringere aggressivamente e i rendimenti dei Treasury a 2 anni hanno superato quelli a 10. Un periodo storicamente molto lungo, mentre intanto la recessione non è arrivata e la Fed non dà segnali di allentamento in vista. Di recente l’anomalia si è spostata sulla parte brevissima della curva, con le scadenze a 6 mesi che rendono un buon mezzo punto di quelle a 2 anni.


LO SCENARIO PREFERITO DAI MERCATI E QUELLO MENO


Ovviamente la cosa non piace ai mercati, non all’obbligazionario ma neanche all’azionario, perché annebbia le prospettive e la volatilità. Se ne può uscire in due modi. O il mercato decide che i tassi dei Fed Fund restano ai livelli attuali parecchio a lungo, e spingono i rendimenti a 10 anni verso il 6-7%, o la Fed decide di allentare anche in assenza di recessione conclamata, grazie a un’inflazione comunque in frenata, e i rendimenti a brevissimo si portano al 2-3%. La seconda è ovviamente l’ipotesi che piace ai mercati, che ci hanno più o meno creduto per quasi tutta l’estate, ma da metà agosto e soprattutto a settembre hanno cominciato a innervosirsi.


NON SOLO IRRAZIONALE MA ANCHE INEFFICIENTE


Di certo non può durare, forse è durata anche troppo. Rendimenti a 3-6 mesi di oltre mezzo punto più alti di quelli a 10 anni non sono solo irrazionali, ma anche inefficienti per una corretta allocazione del capitale. Un aggiustamento al rialzo sulle scadenze lunghe, che ancora pare poco probabile e poco prezzato dal mercato, sarebbe sicuramente doloroso, soprattutto per l’azionario, che invece saluterebbe con un bel rally lo scenario opposto. Che sarebbe anche una buona notizia per il debito pubblico italiano. I tempi del giudizio delle agenzie di rating in quest’ultimo caso sono però molto ravvicinati, senza i margini per beneficiare di una ‘schiarita’ monetaria globale.


BOTTOM LINE


L’anomalia della curva dei rendimenti invertita non può durare. Il ritorno alla normalità può avere un costo ma è necessario, altrimenti continua ad aggiungersi incertezza e volatilità a un quadro globale già abbastanza difficile da decifrare e navigare, a cominciare dalla geopolitica, come mostrano gli eventi drammatici delle ultime ore in Medio Oriente.

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