Nuove insidie
Geopolitica in evoluzione, il confronto tra superpotenze si sposta sui mari
Gli investitori devono aggiungere alla lista delle variabili da controllare il ritorno della competizione per il controllo e la sicurezza delle rotte e possibili conflitti negli oceani, dove non passano solo le merci
di Stefano Caratelli 15 Gennaio 2024 08:26
Il controllo delle rotte commerciali e il dominio dei mari sono stati sempre cruciali nella storia delle superpotenze, dai tempi del contrasto all’espansionismo dell’impero persiano fermato dai greci a Salamina nel 480 avanti Cristo, alla sconfitta ad Azio di Antonio e Cleopatra dalla flotta di Augusto ad opera di Marco Vipsanio Agrippa, fino a Lepanto, a Trafalgar e alla battaglia delle Midway che segnò la svolta della Seconda guerra mondiale nel Pacifico. Poi per settant’anni i conflitti, prima quelli tra il campo occidentale e l’URSS in Corea a Vietnam e poi quelli in Afghanistan, Iraq, Siria e nei Balcani, si sono svolti principalmente sulla terraferma e nei cieli, senza chiari vincitori e vinti.
Da qualche anno i mari sono tornati al centro della geopolitica, prima con il blocco dei traffici causato dal Covid, poi la guerra in Ucraina, e infine il surriscaldamento del Medio Oriente, da Israele al Mar Rosso fino al Golfo Persico, con il teatro sempre più caldo dell’Asia Pacifico, investito dalle tensioni tra Cina e Occidente che potrebbero salire a livello di allarme rosso se Pechino dovesse reagire con la forza alla vittoria del progressista filo-occidentale William Lai alle elezioni appena tenute a Taiwan.
Dal punto di vista militare, la supremazia navale di USA e alleati occidentali rispetto a Russia e Cina resta indiscussa, ma la seconda superpotenza globale non è rimasta a guardare negli anni della globalizzazione e della crescita a due cifre, e oggi vanta la flotta da guerra più grande del mondo. Quella americana resta formidabile, ma gli europei dal 1999 hanno ridotto di circa un terzo la potenza sottomarina e di superficie.
Principali forze navali globali (Fonte: The Economist)
Numero di unità non vuol dire ovviamente supremazia tecnologica, saldamente detenuta ancora dagli americani. Il dominio dei mari è vitale per la sicurezza dei traffici, ma anche per i costi collegati, che vogliono dire inflazione: circumnavigare l’Africa invece di passare per Suez vuol dire pagare lo shipping dall’Asia all’Europa tre volte tanto. E in acqua non passano solo merci fisiche. L’Economist cita dati secondo cui per 574 cavi sottomarini passa il 97% del traffico globale di Internet, la cui sicurezza è emersa in primo piano proprio con la guerra in Ucraina, così come quella di oleodotti e gasdotti che trasportano sotto i mari le fonti energetiche.
Le implicazioni di un confronto militare navale sono molto diverse da quelli terrestri. Taiwan è vulnerabile a un blocco per la dipendenza energetica e alimentare dalla Cina, che a sua volta importa via mare gran parte del petrolio e delle materie prime che consuma ed è esposta a possibili blocchi “a distanza” da parte di USA e alleati. Quanto siano vitali e strategiche le rotte commerciali per Pechino è dimostrato da quanto ha investito in infrastrutture portuali in tutto il mondo, soprattutto sulla costa occidentale africana, in Medio Oriente e sul Mar Rosso, in Pakistan, Sri Lanka e Sudest asiatico, fino a tutta l’area caraibica.
Una competizione tra superpotenze che si gioca sugli oceani cambia gli schemi a cui siamo abituati dai tempi della guerra fredda in poi, in termini macroeconomici, diplomatici e militari. L’America resta la potenza navale dominante ma dovrà comunque potenziare sia la capacità di trasporto che quella militare, mentre l’Europa ha un abisso da colmare forse con la sola eccezione della Gran Bretagna, che ancora oltre 40 anni fa ha mostrato nelle Falkland la capacità di vincere sui mari dall’altra parte del mondo. Servirà un cambio di mentalità e una capacità di “risveglio” per prendere atto di un mondo in cui la superiorità navale occidentale non può più essere scontata, come fecero proprio gli inglesi dopo Trafalgar per poi trovarsi in difficoltà nello Jutland contro la molto meno blasonata marina tedesca nella Prima Guerra Mondiale.
Il controllo e la sicurezza delle rotte e la competizione tra USA e Cina per la supremazia navale è un’altra variabile da aggiungere alla lista dei fattori di potenziale instabilità che l’investitore globale deve monitorare nella costruzione dei portafogli. Il teatro va dall’Oceano Indiano al Pacifico, lontano in migliaia di chilometri ma molto vicino per l’impatto che può arrivare su economie e mercati di casa nostra.
DI NUOVO AL CENTRO DEL CONFRONTO GEOPOLITICO
Da qualche anno i mari sono tornati al centro della geopolitica, prima con il blocco dei traffici causato dal Covid, poi la guerra in Ucraina, e infine il surriscaldamento del Medio Oriente, da Israele al Mar Rosso fino al Golfo Persico, con il teatro sempre più caldo dell’Asia Pacifico, investito dalle tensioni tra Cina e Occidente che potrebbero salire a livello di allarme rosso se Pechino dovesse reagire con la forza alla vittoria del progressista filo-occidentale William Lai alle elezioni appena tenute a Taiwan.
SUPREMAZIA USA INDISCUSSA MA LA CINA CRESCE
Dal punto di vista militare, la supremazia navale di USA e alleati occidentali rispetto a Russia e Cina resta indiscussa, ma la seconda superpotenza globale non è rimasta a guardare negli anni della globalizzazione e della crescita a due cifre, e oggi vanta la flotta da guerra più grande del mondo. Quella americana resta formidabile, ma gli europei dal 1999 hanno ridotto di circa un terzo la potenza sottomarina e di superficie.
Principali forze navali globali (Fonte: The Economist)
NON SOLO MERCI FISICHE MA ANCHE TRAFFICO INTERNET
Numero di unità non vuol dire ovviamente supremazia tecnologica, saldamente detenuta ancora dagli americani. Il dominio dei mari è vitale per la sicurezza dei traffici, ma anche per i costi collegati, che vogliono dire inflazione: circumnavigare l’Africa invece di passare per Suez vuol dire pagare lo shipping dall’Asia all’Europa tre volte tanto. E in acqua non passano solo merci fisiche. L’Economist cita dati secondo cui per 574 cavi sottomarini passa il 97% del traffico globale di Internet, la cui sicurezza è emersa in primo piano proprio con la guerra in Ucraina, così come quella di oleodotti e gasdotti che trasportano sotto i mari le fonti energetiche.
IL CASO DI TAIWAN, ANCHE LA CINA È VULNERABILE
Le implicazioni di un confronto militare navale sono molto diverse da quelli terrestri. Taiwan è vulnerabile a un blocco per la dipendenza energetica e alimentare dalla Cina, che a sua volta importa via mare gran parte del petrolio e delle materie prime che consuma ed è esposta a possibili blocchi “a distanza” da parte di USA e alleati. Quanto siano vitali e strategiche le rotte commerciali per Pechino è dimostrato da quanto ha investito in infrastrutture portuali in tutto il mondo, soprattutto sulla costa occidentale africana, in Medio Oriente e sul Mar Rosso, in Pakistan, Sri Lanka e Sudest asiatico, fino a tutta l’area caraibica.
CAMBIANO SCHEMI CONSOLIDATI DALLA GUERRA FREDDA
Una competizione tra superpotenze che si gioca sugli oceani cambia gli schemi a cui siamo abituati dai tempi della guerra fredda in poi, in termini macroeconomici, diplomatici e militari. L’America resta la potenza navale dominante ma dovrà comunque potenziare sia la capacità di trasporto che quella militare, mentre l’Europa ha un abisso da colmare forse con la sola eccezione della Gran Bretagna, che ancora oltre 40 anni fa ha mostrato nelle Falkland la capacità di vincere sui mari dall’altra parte del mondo. Servirà un cambio di mentalità e una capacità di “risveglio” per prendere atto di un mondo in cui la superiorità navale occidentale non può più essere scontata, come fecero proprio gli inglesi dopo Trafalgar per poi trovarsi in difficoltà nello Jutland contro la molto meno blasonata marina tedesca nella Prima Guerra Mondiale.
BOTTOM LINE
Il controllo e la sicurezza delle rotte e la competizione tra USA e Cina per la supremazia navale è un’altra variabile da aggiungere alla lista dei fattori di potenziale instabilità che l’investitore globale deve monitorare nella costruzione dei portafogli. Il teatro va dall’Oceano Indiano al Pacifico, lontano in migliaia di chilometri ma molto vicino per l’impatto che può arrivare su economie e mercati di casa nostra.
Trending