Transizione green
Net Zero, ecco perché per le aziende non conta solo l’obiettivo al 2050
abrdn spiega perché il target Net Zero entro il 2050 non è un indicatore adeguato: il dato fondamentale è invece la spesa in conto capitale per la decarbonizzazione
di Fabrizio Arnhold 30 Marzo 2024 09:25
Scegliere i vincitori della transizione climatica non è affatto semplice. Secondo i dati raccolti dal Carbon Disclosure Project (CDP), il 41% delle quasi 5.700 aziende aderenti ha l’obiettivo di raggiungere il Net Zero entro il 2050. E l’81% ha qualche forma di obiettivo di decarbonizzazione, in aumento rispetto al 76% dello scorso anno. “Ci sono altri motivi per essere ottimisti”, spiega Thomas Leys, investment director di abrdn. “Forse in maniera contro intuitiva, è più probabile che le aziende dei settori che avranno più difficoltà a ridurre le emissioni abbiano fissato degli obiettivi; infatti, oltre il 90% delle 534 aziende che hanno compilato i questionari CDP nei settori petrolifero e del gas, dell'acciaio, del cemento, dei prodotti chimici e dei trasporti ha fissato obiettivi Net Zero”.
Le aziende dei settori petroliferi e del gas sono responsabili di 29 gigatonnellate di emissioni di CO2 equivalenti. “Quasi la metà di queste aziende, il 48%, ha fissato obiettivi per raggiungere lo zero netto entro il 2050”, prosegue Leys. “Al contrario, il settore delle materie prime agricole, che maggiormente contribuisce al cambiamento climatico, ha fissato il minor numero di obiettivi”. In questo scenario, quindi, aumenta il rischio di transizione per le aziende di questo settore.
L’81% delle aziende ha un obiettivo di decarbonizzazione, ma solo il 24% ha un obiettivo Scope 3, ossia relativo alle emissioni della catena di fornitura che in genere rappresentano oltre i tre quarti delle emissioni di una società. Secondo l’analisi di abrdn, circa la metà delle aziende con obiettivi Scope 3 include meno di cinque delle quindici categorie possibili relative ai propri obiettivi.
Sono numerosi i player che dovranno mettere mano al portafoglio per decarbonizzare, investendo in nuove tecnologie ma anche in catene di fornitura. “Porre un obiettivo di raggiungimento dello zero netto entro il 2050 non basta - aggiunge Leys -, perché se è vero che da un lato consente alle aziende di dilazionare le spese di transizione, dall’altra ne aumenta i rischi mentre i concorrenti compiono progressi”.
Per l’esperto di abrdn, il dato fondamentale da verificare per interpretare la credibilità di un obiettivo aziendale è la spesa in conto capitale per la decarbonizzazione. “I dati CDP mostrano che l'81% delle aziende con obiettivi zero netto per il 2050 non ha segnalato investimenti in linea con tale transizione”, sottolinea Thomas Leys. “Ne consegue che il target di zero emissioni nette entro il 2050 è un indicatore inaffidabile a livello operativo. Attualmente, un terzo delle utility che ne sono sprovviste sta spendendo più dell'80% del proprio capex per la transizione climatica. I fatti contano più delle parole”.
Nelle valutazioni sul cambiamento climatico spesso non rientrano le emissioni evitate. “Si tratta di emissioni che vengono evitate attraverso l’implementazione di tecnologie più pulite, misure di efficienza energetica e altro ancora”, chiarisce l’Investment director di abrdn. “Si pensi ai benefici offerti alle aziende a livello di decarbonizzazione da alcuni prodotti: batterie, turbine eoliche e isolamento degli edifici. L'obiettivo zero netto entro il 2050 potrebbe impallidire rispetto all'impatto positivo di questi prodotti”.
Gli investitori troppo concentrati sui target sono portati a trascurare le aziende che in effetti trarranno i maggiori profitti dalla transizione energetica. Non basta avere solo un obiettivo per il 2050. E chi investe ne dovrebbe tenere conto, per avere un quadro completo delle attività delle aziende verso le emissioni zero e compiere così una scelta di selezione più consapevole.
MINORI OBIETTIVI NEL SETTORE DELLE MATERIE PRIME AGRICOLE
Le aziende dei settori petroliferi e del gas sono responsabili di 29 gigatonnellate di emissioni di CO2 equivalenti. “Quasi la metà di queste aziende, il 48%, ha fissato obiettivi per raggiungere lo zero netto entro il 2050”, prosegue Leys. “Al contrario, il settore delle materie prime agricole, che maggiormente contribuisce al cambiamento climatico, ha fissato il minor numero di obiettivi”. In questo scenario, quindi, aumenta il rischio di transizione per le aziende di questo settore.
LA MANCANZA REALE DI INTENZIONI
L’81% delle aziende ha un obiettivo di decarbonizzazione, ma solo il 24% ha un obiettivo Scope 3, ossia relativo alle emissioni della catena di fornitura che in genere rappresentano oltre i tre quarti delle emissioni di una società. Secondo l’analisi di abrdn, circa la metà delle aziende con obiettivi Scope 3 include meno di cinque delle quindici categorie possibili relative ai propri obiettivi.
IL COSTO DELLA DECARBONIZZAZIONE
Sono numerosi i player che dovranno mettere mano al portafoglio per decarbonizzare, investendo in nuove tecnologie ma anche in catene di fornitura. “Porre un obiettivo di raggiungimento dello zero netto entro il 2050 non basta - aggiunge Leys -, perché se è vero che da un lato consente alle aziende di dilazionare le spese di transizione, dall’altra ne aumenta i rischi mentre i concorrenti compiono progressi”.
LA SPESA IN CONTO CAPITALE
Per l’esperto di abrdn, il dato fondamentale da verificare per interpretare la credibilità di un obiettivo aziendale è la spesa in conto capitale per la decarbonizzazione. “I dati CDP mostrano che l'81% delle aziende con obiettivi zero netto per il 2050 non ha segnalato investimenti in linea con tale transizione”, sottolinea Thomas Leys. “Ne consegue che il target di zero emissioni nette entro il 2050 è un indicatore inaffidabile a livello operativo. Attualmente, un terzo delle utility che ne sono sprovviste sta spendendo più dell'80% del proprio capex per la transizione climatica. I fatti contano più delle parole”.
IL RUOLO DELLE EMISSIONI EVITATE
Nelle valutazioni sul cambiamento climatico spesso non rientrano le emissioni evitate. “Si tratta di emissioni che vengono evitate attraverso l’implementazione di tecnologie più pulite, misure di efficienza energetica e altro ancora”, chiarisce l’Investment director di abrdn. “Si pensi ai benefici offerti alle aziende a livello di decarbonizzazione da alcuni prodotti: batterie, turbine eoliche e isolamento degli edifici. L'obiettivo zero netto entro il 2050 potrebbe impallidire rispetto all'impatto positivo di questi prodotti”.
NON CONTA SOLO L’OBIETTIVO PER IL 2050
Gli investitori troppo concentrati sui target sono portati a trascurare le aziende che in effetti trarranno i maggiori profitti dalla transizione energetica. Non basta avere solo un obiettivo per il 2050. E chi investe ne dovrebbe tenere conto, per avere un quadro completo delle attività delle aziende verso le emissioni zero e compiere così una scelta di selezione più consapevole.