In Borsa

Piazza Affari in salute ma non riflette ancora il potenziale del Made in Italy

Valutazioni scontate rispetto alle altre grandi piazze restano un’attrattiva ma manca la spinta delle eccellenze italiane del lusso, dell’alimentare e della moda non ancora rappresentate adeguatamente

di Stefano Caratelli 6 Maggio 2024 08:03

financialounge -  Bullettin Made In Italy mercati Piazza Affari
Con l’80% delle società dello S&P 500 che hanno pubblicato i risultati del primo trimestre, Wall Street si prepara ad archiviare un altro round di utili superiori alle attese, battute nel 77% dei casi, e anche se aprile non è stato brillante la crescita dei prezzi azionari resta del 12% da inizio anno, che porta a un robusto 26% l’aumento degli ultimi 12 mesi. Una forza che porta ovviamente a interrogarsi sulle valutazioni, che viaggiano a un multiplo di circa 20 volte gli utili attesi a 12 mesi, poco sopra la media a 5 anni e di più rispetto a quella a 10, sotto le 18 volte. Ma si tratta di multipli sostenuti da risultati solidi, anche fuori dalla cerchia dei big tech trainati dall’entusiasmo per l’IA, come nella sanità, nei consumi discrezionali e nella finanza. L’investitore però, come insegna Warren Buffett, non deve stare solo attento a non pagare prezzi troppo cari, ma anche andare a cercare occasioni dove sembrano troppo bassi.

MASSIMI STORICI LONTANI ANCHE DOPO L’EXPLOIT


Nonostante l’exploit degli ultimi 18 mesi, che ha portato l’FTSE Mib da area 20.000 punti a sfiorare i 35.000, potrebbe essere ancora il caso dell’azionario italiano. A Piazza Affari, infatti, i multipli degli utili attesi espressi dai prezzi arrivano malapena a 10 volte, ben sotto le 17 volte di Parigi e anche le 13 di Londra e Francoforte. Non solo, l’azionario italiano è ancora a grande distanza dai picchi di marzo 2000 e del 2007, prima della grande crisi finanziaria, quando l’indice aveva toccato prima i 50.000 punti e poi si era avvicinato ai 45.000. Con l’eccezione di Madrid, un caso praticamente unico tra le grandi piazze europee, che viaggiano ben oltre quei massimi, per non parlare di Wall Street, mentre persino Tokyo è riuscita a risalire oltre le vette della bolla di fine anni 80.

HANNO BRILLATO SOPRATTUTTO FINANZIARI E ENERGETICI


Andando a guardare dentro la recente brillante performance di Milano, si vede che è riconducibile a 3-4 settori. Primo il bancario assicurativo, dove Unicredit, Intesa e Generali pesano rispettivamente per il 9,4%, il 9,08% e il 5,26% sull’indice dei blue chip e sono reduci da risultati stellari, mentre i bancari minori hanno un ulteriore appeal per il cosiddetto risiko. La seconda componente è l’energia, dove Enel pesa per l’11,57% e Eni il 7,27%, con rischi sia al ribasso che al rialzo legati alla geopolitica, leggi Ucraina e Medio Oriente. Infine, ci sono i tecnologici con STMicroelectronics e l’auto con Stellantis. I principali titoli di Piazza Affari non sono certo lo specchio di quello per cui l’azienda Italia è nota nel mondo, vale a dire le eccellenze nella moda, nel lusso e nell’alimentare.

TESORI CUSTODITI NELLE CASSEFORTI DI FAMIGLIA


La ragione è che i nomi simbolo di quest’eccellenza non sono quotati. Da Armani a Ferrero, da Barilla a Trussardi e Dolce & Gabbana, nessuna è quotata e le azioni sono custodite nelle casseforti di famiglia, mentre per trovare sul tabellone di Borsa Luxottica bisogna andare a Parigi e cercare Essilor, l’azionista Delfin non c’è anche se vale 40 miliardi ed è socio importante di Mediobanca e Generali. Oltre a Fashion & Food, l’altra grande forza dell’economia italiana è fatta di migliaia di imprese minori che eccellono soprattutto nella componentistica e nei materiali industriali, esportano in tutto il mondo, hanno retto alla grande la grande crisi finanziaria e gli shock di pandemia e guerre, ma non sono accessibili al “normale” investitore azionario, a meno che non sia un fondo di private equity, perché neanche loro sono per la grandissima parte quotate.

LA DISTRUZIONE DI VALORE SEGUITA AI DORATI ANNI 80


Uno dei motivi per cui le grandi e meno grandi famiglie di imprenditori italiane si tengono lontane dalla Borsa è forse anche una lunga storia di “distruzione di valore”, snodata dagli anni 90 in poi, che ha investito diversi simboli italiani una volta di successo, da Telecom Italia a Alitalia, fino a Mps, causata da incursioni della politica con “capitani coraggiosi” al seguito o da lunghissime e tormentate vicende giudiziarie poi finite nel nulla, come nell’ultimo caso, ma pagate a caro prezzo dagli azionisti e in ultima analisi dal contribuente. Non è andata sempre così, negli anni 80 del secolo scorso Piazza Affari ha conosciuto una stagione straordinaria, grazie all’arrivo dei fondi comuni e alla sconfitta dell’inflazione decuplicò la capitalizzazione, scavalcando Parigi e scalando fino al sesto posto la classifica delle borse globali, con il valore dei titoli quotati salito al 25% del Pil dal 5% in un paio d’anni.

FORZA RAPPRESENTATA IN MODO ANCORA PARZIALE


La storia si è in parte ripetuta nella seconda metà degli anni 90 con il riavvicinamento all’Europa e alla moneta unica dopo l’abisso della svalutazione e del debito fuori controllo. Forse ora sta tornando a incastrarsi un allineamento positivo, ma i prezzi scontati non possono essere l’unica forza trainante, anche perché i grandi blue chip sopravvissuti a Piazza Affari un buon recupero di valutazione lo hanno già incassato. Servono nuove opportunità di investimento che rappresentino meglio e in modo più completo il grande potenziale di un’economia di cui il listino di Borsa rappresenta ancora uno specchio molto parziale.

Bottom line. Andare in cerca di prezzi scontati fa parte del mestiere dell’investitore. Nel caso della Borsa italiana quelli in vetrina sul listino sembrano ancora interessanti, ma il valore del sistema Paese sembra nascosto soprattutto in quello che ancora non è in esposizione. Chi parte per primo con un’Ipo, se ne parla a proposito di Armani, potrebbe aprire una nuova bella stagione.

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