L'analisi
Wellington Management: deflazione e normalizzazione monetaria possono seguire strade diverse
Marco Giordano, Investment Director di Wellington Management, analizza le determinanti dei mercati obbligazionari ad aprile sottolineando le differenze tra le diverse aree economiche
di Stefano Caratelli 10 Maggio 2024 12:34
Ad aprile i rendimenti obbligazionari globali hanno segnato il maggior aumento mensile da settembre 2022, con solidi dati che segnalano che le economie, quella USA in particolare, restano resistenti. Il movimento è stato più acuto nella prima metà del mese per l’inflazione che ha continuato a sorprendere al rialzo, e i mercati hanno spostato più in là le previsioni sul primo taglio delle banche centrali, atteso per la BCE non prima di luglio, Bank of England non prima di settembre e Fed addirittura a dicembre. L’ultimo FOMC ha mantenuto un atteggiamento da colomba e ha annunciato che rallenterà il ritmo di riduzione del bilancio, mentre il Tesoro USA continuerà a fornire liquidità sul secondario.
Sebbene modesti, sono passi che rappresentano un supporto tecnico per i titoli del Tesoro e potrebbero contribuire a ridurre leggermente la pressione al rialzo sui premi a termine, sottolinea in un contributo sulle principali determinanti dei mercati obbligazionari Marco Giordano, Investment Director di Wellington Management, che nota anche come i mercati obbligazionari continuano a scambiare strettamente con gli USA, nonostante i crescenti segnali che le dinamiche inflazionistiche locali stiano iniziando a prendere piede. L’inflazione USA ha sorpreso al rialzo con forze strutturali, in particolare i servizi di base, che hanno più che compensato le forze disinflazionistiche, facendo temere ai mercati che i tassi per qualche tempo non saranno tagliati.
Il resto del mondo ha seguito l’esempio della Fed, con un aumento dei rendimenti dei Gilt britannici e dei titoli di Stato dell’Eurozona, con gli ultimi dati che indicano prospettive positive per l’economia tedesca. Ma negli USA il PIL è aumentato solo dell’1,6% nel primo trimestre, ben sotto le aspettative al 2,5%, la disoccupazione rimane bassa al 3,8% ma sta gradualmente aumentando e i nuovi posti sono rallentati a +175.000 contro attese di +243.000. Intanto, prosegue Giordano, le autorità giapponesi sono probabilmente intervenute per sostenere lo yen, deprezzato su dollaro a livelli mai registrati dal 1990. Bank of Japan ha mantenuto i tassi a zero nonostante abbia rivisto al rialzo le aspettative di inflazione
Il Giappone continua a essere in disaccordo col resto del mondo nell’adottare un ritmo misurato verso la normalizzazione delle politiche monetarie. Secondo l’esperto di Wellington Management, in assenza di una significativa recessione globale o almeno di un indebolimento dell’economia USA che spinga la Fed a tagliare, sembra che l’unico modo per cambiare la tendenza dello yen sia che Bank of Japan aumenti i tassi. Ma per ora l’ultimo intervento sul forex è stato probabilmente calcolato per colpire i venditori allo scoperto e garantire che i cambiamenti valutari siano graduali, evitando movimenti rapidi o disordinati.
Negli ultimi 12 mesi, come probabilmente anche negli ultimi 25 anni, i mercati globali hanno seguito uno schema generalmente prevedibile, con una risposta simile allo shock inflazionistico e le banche centrali (con l'eccezione giapponese) hanno aumentato i tassi, e ora sono alla ricerca di segnali di tagli per normalizzare la politica monetaria. Ma le dinamiche locali potrebbero richiedere risposte mirate più che seguire la Fed. Giordano nota che il PIL reale degli USA è superiore di circa il 9% rispetto al periodo pre-Covid, mentre le economie di Eurozona e Regno Unito sono cresciute rispettivamente solo del 3% e dell’1,5%.
Ma la maggior parte degli indicatori di inflazione, salari e disoccupazione hanno mostrato traiettorie simili a quelle USA, indicando che significa che il trade-off crescita-inflazione potrebbe essere significativamente peggiore in Europa. Con il ciclo produttivo che mostra segni di svolta e la continua crescita dei servizi a livello globale, le dinamiche inflazionistiche locali dovrebbero accentuarsi. E in uno scenario del genere, secondo Giordano, seguire la Fed potrebbe non portare ai migliori risultati a lungo termine fuori dagli USA.
Una delle conseguenze è il consistente rafforzamento del dollaro, che con la fuga verso i beni rifugio legata alle tensioni in Medio Oriente, si è apprezzato rispetto alla maggior parte delle valute. Giordano nota che dall’Accordo del Plaza del 1985, l’unico altro periodo in cui l’indice che misura la forza del dollaro rispetto a un paniere di valute del G10 è rimasto stabilmente al sopra 100 è stato tra il 2000 e il 2002. Nei Mercati Emergenti, le valute latinoamericane hanno registrato ad aprile la peggiore performance mensile da settembre 2022, per l’aumento della volatilità globale e dei cicli di riduzione dei tassi, con Messico e Colombia che hanno continuato a tagliare i tassi.
MERCATI OBBLIGAZIONARI ANCORA IN TANDEM CON GLI USA
Sebbene modesti, sono passi che rappresentano un supporto tecnico per i titoli del Tesoro e potrebbero contribuire a ridurre leggermente la pressione al rialzo sui premi a termine, sottolinea in un contributo sulle principali determinanti dei mercati obbligazionari Marco Giordano, Investment Director di Wellington Management, che nota anche come i mercati obbligazionari continuano a scambiare strettamente con gli USA, nonostante i crescenti segnali che le dinamiche inflazionistiche locali stiano iniziando a prendere piede. L’inflazione USA ha sorpreso al rialzo con forze strutturali, in particolare i servizi di base, che hanno più che compensato le forze disinflazionistiche, facendo temere ai mercati che i tassi per qualche tempo non saranno tagliati.
IL GIAPPONE NON MUOVE MA DIFENDE LO YEN
Il resto del mondo ha seguito l’esempio della Fed, con un aumento dei rendimenti dei Gilt britannici e dei titoli di Stato dell’Eurozona, con gli ultimi dati che indicano prospettive positive per l’economia tedesca. Ma negli USA il PIL è aumentato solo dell’1,6% nel primo trimestre, ben sotto le aspettative al 2,5%, la disoccupazione rimane bassa al 3,8% ma sta gradualmente aumentando e i nuovi posti sono rallentati a +175.000 contro attese di +243.000. Intanto, prosegue Giordano, le autorità giapponesi sono probabilmente intervenute per sostenere lo yen, deprezzato su dollaro a livelli mai registrati dal 1990. Bank of Japan ha mantenuto i tassi a zero nonostante abbia rivisto al rialzo le aspettative di inflazione
BANK OF JAPAN VUOL EVITARE MOVIMENTI DISORDINATI
Il Giappone continua a essere in disaccordo col resto del mondo nell’adottare un ritmo misurato verso la normalizzazione delle politiche monetarie. Secondo l’esperto di Wellington Management, in assenza di una significativa recessione globale o almeno di un indebolimento dell’economia USA che spinga la Fed a tagliare, sembra che l’unico modo per cambiare la tendenza dello yen sia che Bank of Japan aumenti i tassi. Ma per ora l’ultimo intervento sul forex è stato probabilmente calcolato per colpire i venditori allo scoperto e garantire che i cambiamenti valutari siano graduali, evitando movimenti rapidi o disordinati.
LE DINAMICHE LOCALI POSSONO RICHIEDERE RISPOSTE MIRATE
Negli ultimi 12 mesi, come probabilmente anche negli ultimi 25 anni, i mercati globali hanno seguito uno schema generalmente prevedibile, con una risposta simile allo shock inflazionistico e le banche centrali (con l'eccezione giapponese) hanno aumentato i tassi, e ora sono alla ricerca di segnali di tagli per normalizzare la politica monetaria. Ma le dinamiche locali potrebbero richiedere risposte mirate più che seguire la Fed. Giordano nota che il PIL reale degli USA è superiore di circa il 9% rispetto al periodo pre-Covid, mentre le economie di Eurozona e Regno Unito sono cresciute rispettivamente solo del 3% e dell’1,5%.
TRADE-OFF CRESCITA INFLAZIONE PEGGIORE IN EUROPA
Ma la maggior parte degli indicatori di inflazione, salari e disoccupazione hanno mostrato traiettorie simili a quelle USA, indicando che significa che il trade-off crescita-inflazione potrebbe essere significativamente peggiore in Europa. Con il ciclo produttivo che mostra segni di svolta e la continua crescita dei servizi a livello globale, le dinamiche inflazionistiche locali dovrebbero accentuarsi. E in uno scenario del genere, secondo Giordano, seguire la Fed potrebbe non portare ai migliori risultati a lungo termine fuori dagli USA.
FORZA DEL DOLLARO LEGATA ALLA GEOPOLITICA
Una delle conseguenze è il consistente rafforzamento del dollaro, che con la fuga verso i beni rifugio legata alle tensioni in Medio Oriente, si è apprezzato rispetto alla maggior parte delle valute. Giordano nota che dall’Accordo del Plaza del 1985, l’unico altro periodo in cui l’indice che misura la forza del dollaro rispetto a un paniere di valute del G10 è rimasto stabilmente al sopra 100 è stato tra il 2000 e il 2002. Nei Mercati Emergenti, le valute latinoamericane hanno registrato ad aprile la peggiore performance mensile da settembre 2022, per l’aumento della volatilità globale e dei cicli di riduzione dei tassi, con Messico e Colombia che hanno continuato a tagliare i tassi.