Sunday View

Starbucks ha dei problemi

Tra cali delle vendite negli Usa, crollo del titolo in Borsa e dichiarazioni sgradevoli, la catena di caffetterie più grande al mondo sta pagando alcuni momenti difficili

di Lorenzo Cleopazzo 11 Maggio 2024 09:30

financialounge -  Starbucks sunday view
Pensiamo al mare.

A quel suo profumo che accarezza l’olfatto, al rumore che coccola l’udito, al colore profondo che riempie la vista, e a quella sensazione che ci avvolge al tatto.

Certe cose si vivono meglio con tutti i sensi. Il mare, come anche un libro o un caffè. E se provate a rileggere le righe di poco fa, potreste traslarle esattamente per tutte e tre.

Cos’hanno in comune questi elementi? Certo si può pensare a un bel romanzo da ombrellone letto in spiaggia con un caffè in ghiaccio, ma non è questo ciò che intendiamo ora. No, il fil rouge è un’azienda nata dall’altra parte del mondo più di 50 anni fa; un’azienda di caffè e caffetterie, con una creatura marina come simbolo, e che prende il nome da un personaggio del romanzo di Melville ‘Moby Dick’: Starbucks.

Proprio di questo parleremo nel Sunday View di oggi, che, perché no, potrete leggere sorseggiando il vostro caffè preferito. Quando siete pronti con la tazzina in mano, possiamo partire!

VENTI


Se siete mai entrati da Starbucks, siete riusciti a non farvi distrarre dalle pannose proposte sugli schermi dietro al bancone, e vi siete soffermati sulle dimensioni delle cups, avrete notato che in quelle caffetterie hanno trovato un termine per descrivere qualcosa che è più grande dell’aggettivo “grande”: Venti. E forse questa misura è il termine adatto per descrivere i problemi dell’azienda, anche se poi in Borsa il titolo non ha perso il 20%, ma ci è andato vicino – quasi il 16% –, portando Howard Schultz, ex CEO e artefice del successo globale del brand, a dare qualche “amichevole” consiglio non richiesto – e mal digerito – dal suo successore Laxman Narasimhan. Ma questo lo vedremo più avanti.

Ora facciamo un passo indietro: che succede prima degli instagrammabili bicchieroni con sopra la sirena verde? Il primo punto vendita – di soli chicchi e miscele di caffè – fu aperto a Seattle nel 1971 da tre amici ex compagni d’università, ma fu grazie a Schultz che il marchio si allargò sempre di più fino a una cinquantina di negozi negli Usa in pochi anni. Con l’avvento dei social, poi, Starbucks fece un ulteriore salto in avanti grazie anche alla strategia di scrivere a mano i nomi dei clienti sulle cups. Cosa che portò gli utenti a postare i vari errori di scrittura sui loro profili, facendo pubblicità gratuita al marchio.

Dopo anni patinati d’oro, però, il 2024 non è iniziato affatto bene per l’azienda, che alla fine di aprile ha pubblicato un calo negli utili, dovuto a una forte e – a loro dire – inaspettata insoddisfazione da parte dei clienti negli Stati Uniti. Le previsioni per i prossimi trimestri non sono da meno, prospettando continue flessioni nell’andamento generale dei negozi. Tradotto in numeri, parliamo di -4% di vendite e -6% d’affluenza, che poi si ripercuote in un -12% delle azioni e in un crollo del fatturato per 8,56 miliardi di dollari. Una debacle dopo tanto successo, un po’ come un certo Caffé di qualche anno fa.

‘MILANO DA BERE’ ANTE LITTERAM


Se nella Milano del ‘700 avessimo parlato del caffè, di certo non ci avrebbero chiesto quale nome scrivere sulla tazza, ma ci avrebbero domandato se intendessimo la bevanda o la rivista. Ma facciamo un passo indietro: quasi un secolo prima, il primo caffè – bevanda – italiano fu servito nel primo caffè – bottega – aperto a Venezia. Questo tipo di locale ebbe così tanto successo da venire replicato in tutta la Serenissima e in molti altri regni del nord Italia. Ritrovarsi attorno a un tavolo con una tazza fumante e rinvigorente, fu per anni il passatempo preferito di moltissimi intellettuali. Non a caso il movimento illuminista italiano ha un enorme debito verso i caffè – bevanda e bottega –, non solo per la mole di idee che vennero scambiate tra un sorso e l’altro, ma anche per una rivista nata a Milano proprio in seno a questa moda e chiamata, appunto, Il Caffè.

Il periodico durò ben due anni, e fu anche longevo in un’epoca di fogli clandestini e di scarsissima tiratura. Tra le sue pagine trovarono spazio nomi celeberrimi dell’illuminismo come Pietro e Alessandro Verri, fondatori del giornale, ma anche Cesare Beccaria. Questi, sul loro periodico promuovevano un nuovo modello sociale: basta accademie pompose e ciechi conservatori, ma più spazio ai desideri della borghesia. Non a caso, su Il Caffè venne pubblicato un articolo intitolato “Sulla patria degli Italiani” che divenne un primo manifesto del Risorgimento. I lettori e la classe intellettuale ne erano entusiasti.

Ma se andava così bene, perché è stato chiuso? Semplice: perché i fratelli Verri litigarono con il Beccaria.

CAFFÈ (IN) SOSPESO


Oggi ai tavolini di Starbucks non troviamo intellettuali settecenteschi con parruccone bianche e incipriate. Al più qualche studente davanti a un pc, intento a studiare con le cuffiette ben salde nei padiglioni auricolari, anche se pure loro sono diventati abbastanza evanescenti. La scarsa affluenza verso i punti vendita della sirena verde, secondo i dirigenti, sarebbe dovuta a veri e propri boicottaggi che avrebbero preso di mira Starbucks per via di “‘percezioni errate’ della sua posizione nei confronti di Israele”, come riportano le dichiarazioni dei vertici a CNBC. In più, secondo il nuovo Ceo Laxman Narasimhan, ci sarebbe anche la questione di uno scompenso tra domanda e offerta, con la scarsa disponibilità di alcuni prodotti che ha creato malcontento negli acquisti online e in negozio.

Poi c’è anche la concorrenza in Cina, da sempre secondo mercato per importanza dell’azienda, dove oggi deve fare i conti con un competitor in più: Luckin Coffee, omologa catena di quelle parti che sta sempre più strappando clienti alle caffetterie born in Us.

A tutto questo si aggiunge l’ex Ceo Howard Schultz, che dal canto suo e del suo profilo LinkedIn ha caldamente consigliato a Narasimhan & co. di togliersi la giacca e indossare invece il grembiule verde dei loro dipendenti, per andare a vivere in prima persona l’importanza dei punti vendita per un’azienda come Starbucks. Proprio ciò che le alte sfere avevano bisogno di sentirsi dire in questo momento per nulla complicato.

BONUS TRACK


La domanda che si fanno in tanti è perché affidarsi ai social, anziché avere un confronto direttamente con Narasimhan? Forse Schultz aveva paura di finire come i Verri con il Beccaria.

Trending