Sunday view

Gli italiani sono più poveri di prima?

L’inflazione ha diminuito il nostro potere d’acquisto, facendoci fare un passo indietro rispetto agli altri Paesi europei. Ma ci sono solo dati negativi?

di Lorenzo Cleopazzo 19 Maggio 2024 09:30

financialounge -  economia economia italia istat sunday view
Non sempre quel suono era come speravamo. A volte, in quelle buone, era bello deciso, netto e godurioso. Altre, invece, era un po’ impacciato, interrotto da una traiettoria che incespicava nel contenuto del pacchetto che ci accingevamo ad aprire. Ma forse ci importava poco del rumore che faceva l’involucro di carta mentre lo aprivamo, rispetto alle figurine che speravamo di trovarci dentro.

Oggi, probabilmente, il pensiero si focalizzerebbe su tutt’altro: non sul suono della bustina che si apre, non su quale calciatore avremmo trovato al suo interno, ma sul costo del singolo pacchetto.

Sarà che si cresce, ma la frase ripetuta come un mantra in questi casi è sempre la stessa: “Prima costavano meno”. E vale per le figurine, per alcune caramelle della nostra infanzia o per la proverbiale tazzina di caffè al bar.

Prima costavano meno, o forse semplicemente ci sembrava che fosse così.

Come ci siamo arrivati? Ci sono tanti motivi in realtà, ma nel Sunday View di questa settimana andiamo ad analizzarne uno in particolare.

Pronti, via!

ISTAT DOCET


Quasi 6, e oltre il 4. Due numeri, o meglio due percentuali. Solo che la prima è positiva, mentre l’altra è negativa. Secondo i dati, in molti Paesi europei la capacità d’acquisto dei cittadini è aumentata del 6%, mentre in Italia è diminuita del 4%. In dieci anni, il potere d’acquisto all’interno dei nostri confini è diminuito in maniera importante, ancorato a salari reali che spesso non tengono il ritmo dell’inflazione. Questo è quello che emerge dall’ultimo rapporto annuale ISTAT, dove si evidenza che, oltre all’inflazione, il problema principale è il mancato aumento dei salari reali, che in Italia arranca a metà della velocità della media di altri Paesi UE come Francia, Spagna e Germania. Però bisogna dire che non è proprio tutto tutto da buttare.

Ci sono infatti alcuni dati positivi del rapporto ISTAT, legati in particolare al tasso d’occupazione tra i nostri confini: dal 2019 a oggi si contano 600 mila occupati in più, trainati anche da un aumento del livello d’istruzione. Non proprio malissimo, no?

L’anno scorso, poi, dopo un lungo periodo di stagnazione, il Pil è ritornato ai livelli positivi del 2007, lasciandosi alle spalle quasi un ventennio di economia senza crescita – anche per i danni causati dalla pandemia – e, secondo le più recenti stime, nel mese di aprile l’inflazione dovrebbe ulteriormente arrestare la sua crescita. In più si prevede che nel nostro Paese a fine anno il tasso di aumento dei prezzi dovrebbe essere inferiore all’1 per cento, rispetto al 2,7% dell’Unione Europea. E ciapa.

IN BARBA ALLE TASSE


Noi oggi ci lamentiamo del costo di un pacchetto di figurine, ma proviamo a pensare a chi anni fa si è visto aumentare il costo della barba. Nella Russia imperiale di metà ‘600 non c’erano campionati di calcio e album da completare, ma era pieno di barbone sfoggiate con solennità da qualsiasi uomo adulto. Parliamo però di un’epoca di profonda arretratezza economica e sociale rispetto ai Paesi più occidentali, tanto che lo zar Pietro il Grande impose una tassa su chi portava peli in viso. Non tanto per rimpinguare le casse dello stato, quanto per rendere il suo regno più vicino alla ben più civile Europa – parole sue.

La tassa era proporzionale al reddito, e chi la pagava riceveva in cambio un gettone che gli permetteva di portare la sua barba senza che le guardie iniziassero a raderlo in mezzo alla strada. Inutile dire che i cittadini non la presero proprio benissimo, in un Paese dove i peli in viso erano importanti sia a livello religioso, sia per ripararsi dal freddo. Lo zar però continuò della sua idea e la tassa sopravvisse al suo regno per quasi un secolo, prima di essere abolita da Caterina II. Una donna che, per avvicinarsi all’Europa, più che tassare le barbe, fece apprezzare la Russia per merito di un governo ispirato al pensiero illuminista. Ricordate il Sunday View della settimana scorsa? Ecco.

BICCHIERE MEZZO PIENO


Se chiedi a un filosofo se un bicchiere è mezzo pieno o mezzo vuoto, non riuscirà a dare una risposta da subito. Probabilmente dovrà pensarci un po’, magari dopo aver esordito dicendo “dipende”, perché forse di sicuro c’è ben poco.

Per esempio, di sicuro c’è che l’Italia di oggi non è messa male come l’impero russo di fine seicento; che il calo del potere d’acquisto non è da prendere come dato a sé stante, ma va riletto in un quadro ben più ampio; di sicuro c’è anche che i freddi numeri spesso lasciano il tempo che trovano, ma che comunque riportano il quadro della situazione in maniera abbastanza fedele.

Quindi, tornando alla domanda del titolo, gli italiani sono più poveri di prima? La risposta è di quelle che piace da matti ai filosofi: dipende.

Senza scomodare periodi storici in cui “si stava meglio quando si stava peggio”, se anche l’ISTAT ha riportato un 2023 in cui siamo ancora indietro rispetto ai nostri cugini continentali, è anche vero che i numeri sono in crescita. A fare da contraltare al minore – attenzione, non scarso – potere d’acquisto degli italiani, ci sono anche diversi segnali positivi, in primis il freno all’inflazione.

Che se anche in questo momento possiamo essere sicuri di poche cose, a noi piace comunque vedere il bicchiere mezzo pieno.

BONUS TRACK


Pietro il Grande occupò tutti i soldi raccolti dalla sua tassa sulle barbe investendoli nel caro vecchio mattone, facendo costruire una città tutta nuova: San Pietroburgo. Non ne siamo sicuri, ma probabilmente le professioni più richieste in quegli anni erano barbieri e architetti.

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