Sunday view

Come una stretta di mano cambia il linguaggio sui media

Meloni e De Luca: l’episodio è stato messo subito sotto i riflettori. Tutti noi sappiamo cosa è successo, alcuni si sono schierati da una parte e altri dall’altra, ma ciò che conta ora è lo stato di salute del linguaggio mediatico

di Lorenzo Cleopazzo 2 Giugno 2024 09:30

financialounge -  giorgia meloni mercati sunday view
Se avete un amico o un’amica ciclista, avrete di certo notato che non appena il suo orecchio coglie il rumore di una bicicletta, si volterà istintivamente in quella direzione. Oppure, se vi accompagnate con qualcuno che ha la passione per la lettura, sicuramente correrete sempre il rischio di entrare nella prima libreria che vi troverete a portata di mano. Se invece siete a spasso con chi ha una passione per il collezionismo, allora state pur certi che vi troverete accerchiati da mercatini e bancarelle prima che possiate rendervene conto.

Di quest’ultimo caso, poi, ci sono un sacco di declinazioni: chi colleziona i vinili e chi i fumetti, chi i francobolli e chi le monete, chi i vecchi telefoni a gettoni e chi i vecchi gettoni per i telefoni. Ma in certi mercatini non si sa mai cosa ci si può trovare, spulciando con gli occhi e con le dita tra le cataste impolverate. Per esempio, avete mai visto una cartolina datata 1893? Se vi fosse capitato, probabilmente la scritta sul retro comincerebbe più o meno così: “Essendomi stato dato il suo pregiato indirizzo, mi permetto, alla presente, di pregarla...”. E sì, è davvero l’incipit di una cartolina datata 5 dicembre 1893, trovata proprio in uno di questi fascinosi mercatini.

Oltre un secolo fa le cose erano parecchio diverse, e il linguaggio non faceva eccezione. Non serve certo scriverlo qui e ora per rendersene conto, ma nel Sunday View di questa settimana cerchiamo di fare un passetto in più.

Quando voi ci siete, noi ci siamo.

DELICATISSIMO


Non c’è bisogno di avere a fianco qualcuno appassionato di politica per sapere che negli ultimi tempi il linguaggio dei partiti si è fatto sempre più portatore di termini popolari. Parliamo dei vari ‘inciuci’ e ‘radical chic’ che riempiono le dichiarazioni e che danno il gancio per molte interviste. Sono termini che ormai spesso diamo per scontati, anche se sono in realtà abbastanza nuovi in un panorama linguistico in continua evoluzione e a cui ci stiamo – appunto – abituando. Poi però succede qualcosa che va ben oltre, per esempio quando un presidente del consiglio incontra un presidente di regione, stringendogli calorosamente la mano e riportando alla memoria di tutti un certo “fuori onda” poco fortunato di quest’ultimo. Subito il web e i media si sono divisi di fronte alla mossa di Giorgia Meloni che ha preso linguisticamente in contropiede Vincenzo De Luca. Il contesto lo conosciamo bene o male tutti, ma ciò che si nasconde dietro la reazione che ci ha generato questo episodio, è la portata dell’episodio stesso. Questo non è lo spazio né il momento di lasciarsi andare ad analisi politiche o etiche, per carità. Senza dare torto o ragione a nessuno, ciò che ci interessa qui è lo sdoganamento di certi termini. Alzare – o abbassare, dipende dai punti di vista – l’asticella nella scelta delle parole non è una cosa da poco. Giocando a mettere tutto sul piano di una ipotetica strategia comunicativa, l’obiettivo non sarebbe solo prevalere sull’altra figura, ma soprattutto creare uno scambio forte, un confronto che polarizza sia i media che lo riportano, sia gli utenti che lo apprendono. Qualcuno parla di empatia, di immedesimazione nelle due figure. Perché? Perché i protagonisti della scena hanno usato un registro che appartiene più alla platea che al palcoscenico, e il pubblico s’infiamma quando percepisce questa piccola deviazione da ciò cui si aspettava invece di assistere.

TEATRO SOCIALE


Se avete un amico o un’amica in fissa con certi programmi, di quelli che vanno avanti da anni, magari vi avrà raccontato che un tempo certe parole venivano bippate, mentre ora alcune parolacce sono entrate prepotentemente nel copione. Bene, perché di “copione” parliamo anche al di fuori della tv, in uno spazio che è la vita di tutti i giorni. Anzi, non ne parliamo noi, ma lasciamo che sia Erving Goffman a parlarcene. Eminente sociologo canadese del secolo scorso, che ha avuto molto successo anche grazie alla sua interpretazione della società basata su un approccio teatrale. Goffman affermava che, in ogni tipo di relazione, noi tutti interpretiamo un personaggio con la sua maschera e il suo copione. Ed è tanto geniale quanto banale, se ci pensiamo: con gli amici ci comportiamo diversamente rispetto che sul lavoro, giusto? Ma cosa cambia? Il contesto, le persone che abbiamo attorno e forse anche la rilassatezza che abbiamo in quel momento. Per dirla invece con Goffman, cambia il ruolo che interpretiamo e lo spazio dove ci esibiamo, che sia il palcoscenico o dietro le quinte. Cambia il linguaggio che ci aspettiamo dagli altri e che sentiamo il dovere di mantenere a nostra volta. Cambia la percezione che noi abbiamo di chi ci sta di fronte e del copione che ci attendiamo da parte sua, e da questo dipende anche l’idea del nostro stesso personaggio e del nostro stesso copione.

IL COPIONE


Cosa prevederebbe, quindi, il copione di un ruolo istituzionale che si mostra su un palcoscenico tanto importante come quello di una solenne cerimonia pubblica? Di certo non andremmo a pensare che il presidente di una nazione dica certe parole a favore di telecamera, giusto? Ma qui sta il punto: al di là della polarizzazione tra chi ha apprezzato e chi no, il fatto è che questa è la nuova normalità del linguaggio. Quasi ci aspettiamo degli exploit simili da certe figure, ma quando arrivano da chi non avremmo mai pronosticato, allora da casa si leva un “oooh” che neanche un plot twist nella nostra serie preferita.

Senza accollare la colpa di tutto ai social network, che poverini hanno già il loro bel carico di responsabilità su molte cose, le istituzioni hanno forse scelto volontariamente di perdere quel velo di intoccabilità che ha sempre contraddistinto quello che veniva riassunto con “il palazzo”, per calarsi sempre più verso i cittadini. Come? Adottando un linguaggio sempre più pop. Il risultato è che i media si adeguano riportando certi virgolettati, e noialtri ci abituiamo a questi termini anche in ambiti poco consoni. Et voilà, linguaggio cambiato. In meglio o in peggio, lo decide il pubblico a teatro.

BONUS TRACK


Il copione non c’è più, esistono solo i ruoli sul palcoscenico. E se Goffman leggesse questa frase si strapperebbe i capelli, dato che senza copione non potrebbe esserci ruolo e viceversa. Forse allora, più che parlare di Goffman, avremmo dovuto citare Pirandello: da stasera si recita a soggetto.

Tradotto nel linguaggio di oggi: fate un po’ quel cavolo che vi pare.

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