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La Financière de l’Echiquier vede meno crescita e più inflazione col protezionismo Usa

Se il programma di Trump fosse attuato, in quanto nazione di consumatori, gli Stati Uniti andrebbero incontro a una maggiore inflazione e sarebbero probabilmente penalizzati sul piano delle esportazioni

di Leo Campagna 7 Giugno 2024 16:30

financialounge -  Alexis Bienvenu economia usa La Financière de l'Echiquier mercati
In netto contrasto con il liberismo degli anni di Reagan, nei repubblicani americani sembra prendere corpo in vista delle prossime elezioni una rinnovata forma di protezionismo non soltanto contro l'immigrazione ma anche contro la concorrenza internazionale, cinese in particolare. L’Agenda 47, un pacchetto di proposte che Trump ha dichiarato di voler attuare se venisse eletto 47° presidente degli Stati Uniti e che è stata analizzata tra l’altro dalla Deutsche Bank, non sembra lasciare dubbi in proposito.

L’AGENDA 47 DI TRUMP


“Il programma” spiega Alexis Bienvenu, Fund Manager di La Financière de l’Echiquier  “prevede l’applicazione di tasse del 10% sulle importazioni di tutti i beni e servizi e un incremento dei dazi nei confronti dei Paesi che ne impongono agli Stati Uniti, al fine di raggiungere un livello di reciprocità. Inoltre dovrebbe essere revocato alla Cina lo status di “nazione più favorita”, con anche nuove tasse sulle importazioni tipicamente del 50 o del 60%, oppure la reintroduzione delle tasse sulle importazioni di acciaio e nuove tasse sui prodotti europei, in particolare le automobili, spesso tedesche”.

LE STIME DELLA TAX FOUNDATION

Far approvare tutte queste misure dal Congresso non sarà semplice ma qualcuna potrebbe comunque essere attuata con conseguenze di rilievo per gli americani e, di riflesso, per l'economia globale. “La tesi elettorale sottolinea che la rilocalizzazione di alcune industrie e servizi darebbe maggiore competitività e più occupazione. Ne beneficerebbero pure gli introiti federali che, alla luce del disavanzo di bilancio cronico e di elevati tassi di interesse, rivestono un peso significativo. La Tax Foundation stima che il gettito generato ogni anno dalle nuove tasse potrebbe attestarsi a 300 miliardi” riferisce Bienvenu.

SPINTE ALL’INFLAZIONE


Per contro, le tasse sui beni e servizi importati spingerebbe l’inflazione con gli stessi produttori americani che subirebbero rincari con le importazioni, così come i consumatori di beni importati. “Inoltre, le imprese locali, forti della minore concorrenza derivante dalla penalizzazione delle imprese straniere, disporrebbero di margini più ampi per aumentare i listini. Anche perché, il costo del lavoro americano è ben superiore a quello della maggior parte dei partner commerciali” argomenta il manager di La Financière de l’Echiquier.

IL DOLLARO POTREBBE RAFFORZARSI


In parallelo, i Paesi interessati dai dazi USA potrebbero introdurre delle tasse sulle importazioni, indebolendo le esportazioni statunitensi e rafforzando in questo modo la spirale inflazionistica. Inoltre, dal momento che il flusso di dollari in uscita dagli Stati Uniti sarebbe complessivamente inferiore a quello in entrata, il biglietto verde potrebbe rafforzarsi andando a penalizzare ulteriormente le esportazioni USA.

IN SINTESI, MENO CRESCITA E PIU’ INFLAZIONE


Da questo quadro d’insieme emerge quali effetti significativi potrebbe determinare sull’economia globale l'eventuale attuazione del programma di Trump. “La rilocalizzazione di una parte dell'economia potrebbe favorire i lavoratori americani, i quali, alla luce dell’attuale basso tasso di disoccupazione, non sembrano avere questa priorità. Al contrario, in quanto nazione di consumatori, gli Stati Uniti andrebbero incontro a una maggiore inflazione e sarebbero probabilmente penalizzati sul piano delle esportazioni. In sintesi, meno crescita e più inflazione: la risposta il prossimo 5 novembre” conclude il Fund Manager di La Financière de l’Echiquier.

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