Verso il voto
Elezioni Usa: Generali Investments analizza le criticità dei programmi di Trump e Harris
In un contesto di debito pubblico alto e di forte polarizzazione politica, i due candidati non sembrano preoccupati per l'aumento previsto del bilancio pubblico: programmi alla mano, entrambi comporterebbero un deficit più elevato
di Leo Campagna 28 Agosto 2024 11:19
Dopo il fallito attento a Trump del 13 luglio, la successiva rinuncia di Biden alla corsa per essere rieletto e la candidatura di Kamala Harris, l'impatto delle elezioni presidenziali statunitensi del prossimo 5 novembre sui mercati risulta piuttosto complesso. Oltre ai sondaggi che segnalano una competizione estremamente serrata, occorre considerare due fattori.
“I programmi elettorali al momento molto vaghi, difficilmente diventeranno più dettagliati nelle prossime settimane” fa sapere Paolo Zanghieri, Senior Economist di Generali Investments secondo il quale, inoltre e soprattutto, la possibilità per il nuovo Presidente di disporre del sostegno di entrambe le Camere del Congresso degli Stati Uniti per le misure fiscali incisive appare una possibilità estremamente incerta.
Entrando nei dettagli, il programma della candidata democratica Harris prevede un aumento delle tasse societarie dal 21% al 28%, una sorveglianza antitrust più rigorosa per frenare i profitti "eccessivi" nel settore alimentare, misure per incrementare l'offerta abitativa e agevolazioni fiscali per i compratori alla prima casa e per le famiglie con bambini piccoli. “Si propone di sostenere il potere d'acquisto della classe media e risolvere la crisi abitativa, le due esigenze più urgenti espresse dagli elettori” riferisce Zanghieri.
Nell’ambito del commercio, invece, l’amministrazione Harris vorrebbe preservare la posizione protezionistica verso la Cina adottata dall'amministrazione Biden, che rimane popolare tra gli elettori. Stesso discorso per le misure destinate a promuovere lo sviluppo domestico della manifattura e la transizione ecologica.
Il programma dell'ex presidente Trump annuncia invece una serie di tagli fiscali generalizzati, in particolare per le imprese, oltre ad una drastica riduzione dell'immigrazione. Previsti anche significativi incrementi dei dazi sulla Cina e, in misura minore, sull'Ue e sui principali partner commerciali, sostenendo che tali misure possano favorire le esportazioni statunitensi.
“Il timore degli economisti è che, nel loro insieme, queste misure possano fare pressioni sull’inflazione, in particolare quelle riguardanti l'immigrazione” sottolinea il manager di Generali Investments. Il suo riferimento è al fatto che l'aumento dell'immigrazione dopo il Covid ha contribuito a contenere le pressioni salariali di fronte a una forte domanda di lavoro. Inoltre, Trump e alcuni altri Repubblicani non hanno escluso di ridurre l'indipendenza della Fed nominando al Fomc, l’organismo della banca centrale USA che si occupa delle decisioni sui tassi di interesse, membri più fedeli, ma ciò richiederebbe il pieno sostegno del Senato.
Resta il fatto che, chiunque sia il nuovo presidente statunitense, dovrà affrontare, nell’attuazione della propria piattaforma economica, il delicato tema del contenimento del deficit di bilancio. “I dazi possono anche essere imposti con un decreto presidenziale, tuttavia le azioni di politica fiscale richiedono una maggioranza sia alla Camera dei Rappresentanti che al Senato (dove, in alcuni casi, è necessaria una maggioranza del 60%). I recenti sondaggi indicano che il nuovo Presidente americano per i prossimi 5 anni debba lavorare con un Congresso privo di una chiara maggioranza, limitandone in modo significativo la possibilità di azioni politiche radicali” puntualizza il Senior Economist di Generali Investments.
Intanto, sia i democratici che i repubblicani non sembrano preoccupati per l'aumento previsto del debito pubblico dal momento che, programmi alla mano, entrambi comporterebbero un deficit più elevato. “Allo stesso tempo, il livello estremo di polarizzazione politica rende improbabile un accordo bipartisan per riportare il debito a un livello sostenibile” conclude Zanghieri.
PROGRAMMI ELETTORALI MOLTO VAGHI
“I programmi elettorali al momento molto vaghi, difficilmente diventeranno più dettagliati nelle prossime settimane” fa sapere Paolo Zanghieri, Senior Economist di Generali Investments secondo il quale, inoltre e soprattutto, la possibilità per il nuovo Presidente di disporre del sostegno di entrambe le Camere del Congresso degli Stati Uniti per le misure fiscali incisive appare una possibilità estremamente incerta.
IL PROGRAMMA DI KAMALA HARRIS
Entrando nei dettagli, il programma della candidata democratica Harris prevede un aumento delle tasse societarie dal 21% al 28%, una sorveglianza antitrust più rigorosa per frenare i profitti "eccessivi" nel settore alimentare, misure per incrementare l'offerta abitativa e agevolazioni fiscali per i compratori alla prima casa e per le famiglie con bambini piccoli. “Si propone di sostenere il potere d'acquisto della classe media e risolvere la crisi abitativa, le due esigenze più urgenti espresse dagli elettori” riferisce Zanghieri.
SVILUPPO DOMESTICO DELLA MANIFATTURA E TRANSIZIONE ECOLOGICA
Nell’ambito del commercio, invece, l’amministrazione Harris vorrebbe preservare la posizione protezionistica verso la Cina adottata dall'amministrazione Biden, che rimane popolare tra gli elettori. Stesso discorso per le misure destinate a promuovere lo sviluppo domestico della manifattura e la transizione ecologica.
IL PROGRAMMA DELL’EX PRESIDENTE TRUMP
Il programma dell'ex presidente Trump annuncia invece una serie di tagli fiscali generalizzati, in particolare per le imprese, oltre ad una drastica riduzione dell'immigrazione. Previsti anche significativi incrementi dei dazi sulla Cina e, in misura minore, sull'Ue e sui principali partner commerciali, sostenendo che tali misure possano favorire le esportazioni statunitensi.
MISURE CHE POSSONO FARE PRESSIONI SULL’INFLAZIONE
“Il timore degli economisti è che, nel loro insieme, queste misure possano fare pressioni sull’inflazione, in particolare quelle riguardanti l'immigrazione” sottolinea il manager di Generali Investments. Il suo riferimento è al fatto che l'aumento dell'immigrazione dopo il Covid ha contribuito a contenere le pressioni salariali di fronte a una forte domanda di lavoro. Inoltre, Trump e alcuni altri Repubblicani non hanno escluso di ridurre l'indipendenza della Fed nominando al Fomc, l’organismo della banca centrale USA che si occupa delle decisioni sui tassi di interesse, membri più fedeli, ma ciò richiederebbe il pieno sostegno del Senato.
IL DELICATO TEMA DEL DECIFIT DI BILANCIO
Resta il fatto che, chiunque sia il nuovo presidente statunitense, dovrà affrontare, nell’attuazione della propria piattaforma economica, il delicato tema del contenimento del deficit di bilancio. “I dazi possono anche essere imposti con un decreto presidenziale, tuttavia le azioni di politica fiscale richiedono una maggioranza sia alla Camera dei Rappresentanti che al Senato (dove, in alcuni casi, è necessaria una maggioranza del 60%). I recenti sondaggi indicano che il nuovo Presidente americano per i prossimi 5 anni debba lavorare con un Congresso privo di una chiara maggioranza, limitandone in modo significativo la possibilità di azioni politiche radicali” puntualizza il Senior Economist di Generali Investments.
NESSUN ACCORDO BIPARTISAN PER UN DEBITO A LIVELLI SOSTENIBILI
Intanto, sia i democratici che i repubblicani non sembrano preoccupati per l'aumento previsto del debito pubblico dal momento che, programmi alla mano, entrambi comporterebbero un deficit più elevato. “Allo stesso tempo, il livello estremo di polarizzazione politica rende improbabile un accordo bipartisan per riportare il debito a un livello sostenibile” conclude Zanghieri.