Mercati

Azionario Asia, svolta cinese o falso segnale?

Il violento rimbalzo di Shanghai e Hong Kong a spese di India e altre piazze finora favorite è una tentazione per chi vuol recuperare i danni subiti in Cina e per chi vuol scommettere su un suo ritorno

di Stefano Caratelli 7 Ottobre 2024 07:49

financialounge -  Asia azionario Bullettin cina giappone
A inizio agosto era stato il Giappone a sorprendere gli investitori con il tonfo della Borsa di Tokyo e il violento rimbalzo dello yen dovuto alla brusca chiusura delle posizioni di carry trade sulla valuta nipponica a seguito di un inasprimento monetario della Banca centrale. Esattamente due mesi dopo è la volta della Cina, ma al contrario, perché la sorpresa l’ha fatta l’azionario di Shanghai e Hong Kong schizzando al rialzo dopo lunghi mesi di depressione profonda. Nel giro di pochi giorni la capitalizzazione di Shanghai è balzata a oltre 10.000 miliardi di dollari da poco meno di 8.000 a metà settembre, mentre quella di Hong Kong è salita a 6.000 miliardi da poco sotto i 4.800. Sulle due piazze decine di titoli hanno messo a segno rialzi percentuali a due e persino tra cifre. I capitali fuggiti dall’azionario cinese per traslocare in India, altre destinazioni del Sud Est asiatico e Giappone hanno fatto il percorso opposto, penalizzando proprio i mercati considerati l’alternativa a una Cina in declino.

UN COPIONE GIÀ VISTO, DOMANDE SUI PIANI DI PERCHINO


Per l’Asia non è una storia nuova ma un copione già visto, ad esempio con le Tigri Asiatiche nella seconda metà degli anni 90 del secolo scorso o con la bolla di Tokyo gonfiata a dismisura alla fine degli anni 80 per poi sgonfiarsi senza fine nei trent’anni successivi. È tornato il momento di comprare Cina cambiando cavallo rispetto a India e simili? O è il caso di correre a vendere a prezzi finalmente decenti per chi era rimasto incastrato dopo essere entrato ai massimi all’inizio di questo decennio? Quello che sembra certo è che entrambi gli schieramenti hanno il dito sul grilletto o, meglio, sulla tastiera, e quindi potremmo assistere prossimamente a nuovi movimenti violenti in entrambe le direzioni. La domanda più importante riguarda quello che ha spinto al rimbalzo l’azionario cinese, vale a dire l’annuncio delle misure di stimolo da parte di Pechino, non particolarmente dettagliato se non per il fatto che comprenderanno importanti allentamenti monetari e supporto fiscale.

IN MOLTI PRONTI A ENTRARE MA ANCHE A USCIRE


Molti trader che hanno comprato sembrano credere che basteranno a rilanciare un’economia alle prese con problemi strutturali, o almeno si comportano “come se” per non perdere l’appuntamento con un bel guadagno, altri non ci credono, come Katie Martin nella sua Long View sul FT di sabato, e non è sola. Di fatto l’annuncio ha fatto partire un’ondata di denaro, che aveva abbandonato la Cina a favore di India, Giappone e altre destinazioni del Sud Est asiatico, a riversarsi su Shanghai e Hong Kong. Settimana scorsa le borse di Corea del Sud, Indonesia, Malaysia e Tailandia hanno sofferto pesanti deflussi, mentre nelle prime tre settimane di settembre 20 miliardi di dollari hanno abbandonato l’azionario nipponico, secondo le stime di BNP Paribas.

È ARRIVATA LA ROTAZIONE ASIATICA?


La rotazione potrebbe mettere fine alla corsa stellare dell’azionario asiatico Cina esclusa, con money manager e gestori a caccia di ritorni migliori rispetto a quelli offerti dai titoli della superpotenza, andandoli a cercare ad esempio a Taiwan, la cui Borsa per gran parte dell’anno ha beneficiato dell’ottimo momento dei chip, o in India, dove il mercato è supportato dall’accelerazione della crescita economica, mentre anche sulle altre piazze del Sud Est asiatico arrivava l’onda lunga del ribasso dei tassi in USA e Europa. Tutti posti dove ora in molti portano a casa il profit per finanziare acquisti sulle azioni cinesi. L’indice Sensex dei 30 blue chip della Borsa di Bombay dopo una corsa di quasi il 20% da inizio anno ha ceduto il 5% tra fine settembre e inizio ottobre.

POCO IMPATTO SU WALL STREET E EUROPA


Il tutto ha avuto un impatto scarso, se non nullo, su Wall Street e le altre Borse occidentali, appese ai dati su crescita e inflazione per misurare la velocità e l’intensità dell’allentamento di Fed e Bce. Dagli anni 60 del 900 l’Asia è sempre stata una componente importante dei portafogli azionari globali, inizialmente limitata e Giappone, Hong Kong, Singapore e poi sempre più estesa fino a lambire il turbolento Medio Oriente. E continua ad esserlo, nonostante le montagne russe che i mercati del grande continente continuano a rappresentare per gli investitori, come mostrano anche le ultime settimane.

Bottom line. Per l’investitore globale che guarda a lungo termine il cuore dell’allocazione azionaria resta Wall Street, con un’importante appendice europea. L’Asia è importante ma per ora non può essere il cardine di una strategia di portafoglio. Non se ne può fare a meno per due ragioni: è la concentrazione delle opportunità di crescita futura delle economie, e il fatto che è fortemente de-correlata rispetto ai mercati occidentali, offrendo così un cuscinetto molto utile quando questi sono investiti da crisi o volatilità.

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