Azionario
Azioni della difesa: alto potenziale ma devono ripartire gli investimenti
Venti di guerra e tensioni geopolitiche spingono titoli come Leonardo e Fincantieri, ma in Europa, e soprattutto in Italia, la spesa militare è ancora lontana dai massimi degli anni 80 e della Guerra Fredda
di Stefano Caratelli 14 Ottobre 2024 08:14
I venti di guerra che soffiano dall’Ucraina al Medio Oriente, insieme alle turbolenze geopolitiche che montano nel Sud Est asiatico intorno a Taiwan, sono ai primi posti tra i rischi che preoccupano gli investitori, anche se l’impatto sui mercati azionari, a cominciare da Wall Street, è stato finora praticamente nullo, a parte qualche strappo di volatilità per lo più legato al petrolio. Ma non per chi guarda ai titoli della difesa, che invece beneficiano del nuovo quadro di disordine globale. In Italia, ad esempio, Leonardo è salita oltre il 40% da inizio anno e Fincantieri quasi, anche se con forti alti e bassi e comunque ancora ben sotto i massimi storici. I colossi USA del settore hanno fatto molto meglio, ma viaggiano comunque ancora ben sotto i massimi storici in termini di valutazione, quelli dei tempi della Guerra Fredda, finita con il collasso dell’URSS all’inizio degli anni 90.
Una ricaduta di quella storica svolta fu il cosiddetto “dividendo della pace”, che consentì ai Paesi Occidentali di tagliare drasticamente la spesa militare, con la parziale eccezione degli USA, impegnati dopo l’11 settembre nelle costosissime guerre in Afghanistan e Iraq. Ora, dopo l’attacco russo all’Ucraina e l’agguerrita difesa di Israele dal terrorismo di Hamas e Hezbollah che la minaccia a Sud e a Nord, con rinforzo iraniano a distanza, il pianeta è tornato un posto pericoloso, anche se non ai livelli degli anni 80. Per i colossi USA della difesa come Lockheed e Northrop Grumman vuol dire titoli in rialzo a Wall Street, infatti le due hanno ampiamente sovraperformato l’S&P 500, mentre in Europa è andata anche meglio, pur con forte volatilità che ha fatto arretrare di recente Saab, Rheinmetall,e la stessa Leonardo.
Il recupero in termini di valutazioni, espresse dal rapporto tra prezzo e utili, è stato notevole, ma siamo ancora lontani dai livelli della Guerra Fredda, e gli investitori si chiedono se il risveglio dei titoli della difesa sia una costante su cui posizionarsi. Jon Sindreu sul WSJ sottolinea che una chiave di lettura sono gli investimenti, che in campo militare vuol dire soprattutto spesa pubblica. E qui siamo ancora molto lontani, come mostra il grafico qui sotto ripreso dal WSJ, basato sui dati della Difesa USA per quanto riguarda la spesa e della Banca Mondiale per il PIL. Ai tempi della Guerra Fredda la spesa viaggiava al 3% del PIL in Europa e al 6% in USA, oggi siamo sotto il 4% per la superpotenza e sotto il 2% nel vecchio continente.
Ora c’è un lieve recupero, ma non in Italia, dove le proiezioni puntano a un bilancio della difesa sotto l’1% del PIL nel periodo 2025-2029, un caso unico nei Paesi Occidentali dovuto alle divisioni politiche e alla sensazione diffusa, ma non si sa quanto fondata, di essere più al riparo e lontani di altri da potenziali conflitti. E forse anche perché si pensa che la Russia non abbia più una sponda italiana (?) come quando era sovietica e qui c’era il più forte partito comunista d’Occidente.
In ogni caso, l’Europa sembra destinata ad aumentare la spesa militare per una serie di fattori. Chiunque vinca le elezioni americane dovrà lavorare al contenimento di deficit e debito federale, schizzati per gli stimoli diretti a fare ripartire crescita e consumi dopo il Covid. Ed è anche probabile che sia Trump, più certamente, ma anche Harris, siano meno propensi dei predecessori a sostenere finanziariamente la NATO, anche perché per gli americani il fronte dell’Asia-Pacifico è più strategico di quello russo o anche medio-orientale.
Per gli investitori con un orizzonte globale di medio-lungo periodo, l’investimento nei titoli della difesa resta comunque nel mondo di oggi un utile strumento di protezione contro eventi avversi, si tratti di un’invasione cinese di Taiwan o di un allargamento dei conflitti in Ucraina e Medio Oriente a tutta l’area che va dagli Urali al Golfo Persico, che ovviamente nessuno si augura. E l’Europa sembra l’area con maggior potenziale di rialzo, Il vecchio continente si sta pian piano avvicinando a spendere in difesa il 2% del PIL, come stabilito dai trattati NATO, e potrebbe dover accelerare, a tutto beneficio dell’industria del settore, dove non mancano le eccellenze.
Bottom line. A nessuno piacciono guerre e instabilità, ma per l’investitore, e per chi ne gestisce gli asset, proteggersi e cogliere le opportunità è un dovere. Al rischio climatico, sempre in agguato, andrebbe forse affiancato tra le priorità anche il rischio sicurezza, andando magari ad aggiungere la D di Difesa all’acronimo ESG.
I BIG DEL SETTORE FANNO MEGLIO DEGLI INDICI IN USA E EUROPA
Una ricaduta di quella storica svolta fu il cosiddetto “dividendo della pace”, che consentì ai Paesi Occidentali di tagliare drasticamente la spesa militare, con la parziale eccezione degli USA, impegnati dopo l’11 settembre nelle costosissime guerre in Afghanistan e Iraq. Ora, dopo l’attacco russo all’Ucraina e l’agguerrita difesa di Israele dal terrorismo di Hamas e Hezbollah che la minaccia a Sud e a Nord, con rinforzo iraniano a distanza, il pianeta è tornato un posto pericoloso, anche se non ai livelli degli anni 80. Per i colossi USA della difesa come Lockheed e Northrop Grumman vuol dire titoli in rialzo a Wall Street, infatti le due hanno ampiamente sovraperformato l’S&P 500, mentre in Europa è andata anche meglio, pur con forte volatilità che ha fatto arretrare di recente Saab, Rheinmetall,e la stessa Leonardo.
INVESTIMENTI IMPORTANTE CHIAVE DI LETTURA
Il recupero in termini di valutazioni, espresse dal rapporto tra prezzo e utili, è stato notevole, ma siamo ancora lontani dai livelli della Guerra Fredda, e gli investitori si chiedono se il risveglio dei titoli della difesa sia una costante su cui posizionarsi. Jon Sindreu sul WSJ sottolinea che una chiave di lettura sono gli investimenti, che in campo militare vuol dire soprattutto spesa pubblica. E qui siamo ancora molto lontani, come mostra il grafico qui sotto ripreso dal WSJ, basato sui dati della Difesa USA per quanto riguarda la spesa e della Banca Mondiale per il PIL. Ai tempi della Guerra Fredda la spesa viaggiava al 3% del PIL in Europa e al 6% in USA, oggi siamo sotto il 4% per la superpotenza e sotto il 2% nel vecchio continente.
ITALIA RITARDATARIA IN EUROPA
Ora c’è un lieve recupero, ma non in Italia, dove le proiezioni puntano a un bilancio della difesa sotto l’1% del PIL nel periodo 2025-2029, un caso unico nei Paesi Occidentali dovuto alle divisioni politiche e alla sensazione diffusa, ma non si sa quanto fondata, di essere più al riparo e lontani di altri da potenziali conflitti. E forse anche perché si pensa che la Russia non abbia più una sponda italiana (?) come quando era sovietica e qui c’era il più forte partito comunista d’Occidente.
PER GLI AMERICANI È IMPORTANTE IL FRONTE ASIA-PACIFICO
In ogni caso, l’Europa sembra destinata ad aumentare la spesa militare per una serie di fattori. Chiunque vinca le elezioni americane dovrà lavorare al contenimento di deficit e debito federale, schizzati per gli stimoli diretti a fare ripartire crescita e consumi dopo il Covid. Ed è anche probabile che sia Trump, più certamente, ma anche Harris, siano meno propensi dei predecessori a sostenere finanziariamente la NATO, anche perché per gli americani il fronte dell’Asia-Pacifico è più strategico di quello russo o anche medio-orientale.
PROTEZIONE CONTRO EVENTI AVVERSI, E ANCHE OPPORTUNITÀ
Per gli investitori con un orizzonte globale di medio-lungo periodo, l’investimento nei titoli della difesa resta comunque nel mondo di oggi un utile strumento di protezione contro eventi avversi, si tratti di un’invasione cinese di Taiwan o di un allargamento dei conflitti in Ucraina e Medio Oriente a tutta l’area che va dagli Urali al Golfo Persico, che ovviamente nessuno si augura. E l’Europa sembra l’area con maggior potenziale di rialzo, Il vecchio continente si sta pian piano avvicinando a spendere in difesa il 2% del PIL, come stabilito dai trattati NATO, e potrebbe dover accelerare, a tutto beneficio dell’industria del settore, dove non mancano le eccellenze.
Bottom line. A nessuno piacciono guerre e instabilità, ma per l’investitore, e per chi ne gestisce gli asset, proteggersi e cogliere le opportunità è un dovere. Al rischio climatico, sempre in agguato, andrebbe forse affiancato tra le priorità anche il rischio sicurezza, andando magari ad aggiungere la D di Difesa all’acronimo ESG.
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