Il reportage

OltrepòShire, la scommessa sul Pinot Nero

La riscossa di un distretto un tempo fiore all’occhiello dell’enologia italiana legata a doppio filo a un vitigno di eccellenza e al territorio. La Bollicina dell’anno del Gambero Rosso è un Metodo Classico dell’Oltrepò Pavese

di Paola Jadeluca 22 Ottobre 2024 08:39

financialounge -  economia vini
La storia, un territorio vocato e un paesaggio da cartolina: all’Oltrepò Pavese manca solo una cosa, il salto sul mercato mondiale. Il  momento sembra arrivato. La migliore bollicina dell’anno per il Gambero Rosso è proprio dell’Oltrepò Pavese, dei Fratelli Calatroni a Rocca de' Giorgi, nell'alta Valle Versa.  Più in generale sono nove i produttori che hanno ricevuto i Tre Bicchieri.  Emblema del  rinnovamento che sta conoscendo tutto il territorio. A guidare la rinascita di questo distretto, un tempo fiore all’occhiello dell’enologia italiana,  sono i viticoltori con in piedi in vigna che hanno iniziato a far sentire la loro voce nel Consorzio e a innalzare la qualità e, contemporaneamente, la sostenibilità economica. In prima fila a fare sistema Terre d’Oltrepò, la più grande cooperativa vitivinicola lombarda, affiancata da Torrevilla-La Genisia. Con loro tanti vignaioli d’eccellenza che hanno già un marchio proprio ma che uniti acquistano peso e competitività. Tutti insieme verso un unico obiettivo: creare un brand, legato a doppio filo a un vitigno, il Pinot nero, e all’Oltrepò Pavese. E’ in questo angolo tra Liguria, Lombardia, Emilia e Piemonte che per la prima volta è stato impiantato il Pinot Nero in Italia, quando la Franciacorta era ancora tutta da inventare e tutto il distretto del Trento Doc non era ancora nato.

TERRE D’OLTREPÒ E LA  COMMUNITY ECONOMICA


Terre di Oltrepò, Tdo, ha l’ambizione di trainare la rinascita di questo territorio,  sia per i numeri, 660 soci e 5mila ettari vitati, che per la strategia innovativa. Artefice del nuovo corso è Umberto Callegari, il ceo nominato alla fine del 2023. Nato a Casteggio, Pavia, -nel cuore dell’Oltrepò pavese-  e approdato a Londra, è tornato a casa dalla City riportando un expertise internazionale di rilievo nella trasformazione digitale, tra Deloitte e Microsoft. Certo, manifatture e società hi-tech  hanno molte armi per incrementare i multipli. Ma dalla vigna alla bottiglia il percorso è obbligato. Su cosa fare leva?  “Sulla filiera integrata per aumentare la marginalità”, afferma Umberto Callegari, incontrato  presso l’Antica Tenuta Pegazzera di Casteggio, in occasione dell’evento di promozione organizzato dal Consorzio Tutela Vini Oltrepò Pavese. “Attualmente- spiega Callegari - il costo del capitale investito nelle operazioni vinicole è superiore al suo ritorno, colpa della polverizzazione proprietaria”. Terre d’Oltrepò fa scuola. Nata dalla fusione della cantina di Casteggio e Cantina sociale intercomunale di Broni, ha qualche anno fa rilevato la totalità di cantina La Versa, come dire un secolo di storia: La Versa contemporaneamente con la famiglia Gancia (Asti) e dopo con la Svic di Casteggio, guidata da Silvio Riccadonna, è quella che ha inventato lo spumante Metodo Classico in Italia, allora si chiamava ancora metodo champenois.  La Svic è stata uno dei principali esportatori italiani di vini di e spumanti di lusso all’estero, soprattutto negli Usai: negli anni ‘20 un grande cartello pubblicitario “Gran Spumante Svic”, accanto alla Statua della Libertà, accoglieva i viaggiatori che sbarcavano a Liberty Island, a New York. Il tema era: Vini di lusso.

DUE MODELLI DI BUSINESS


Tempi d’oro, poi il declino. “Ho rivisto i bilanci di La Versa, nel 1989 fatturava 34 miliardi, tanti soldi per quell’epoca. E Casteggio era una delle zone più ricche d’Italia. Poi è arrivata la logica della cisterna, il modello di business fondato su alte quantità e prezzi bassi, insistendo per esempio nella sovrapproduzione di tipologie di vino come la Bonarda che non producono marginalità. Il risultato, gli imbottigliatori lavorano al 2,5% di ebitda, le aziende di filiera di successo vanno dal 15 al 33”.  Gli analisti di Mediobanca, che ogni anno stilano una approfondita analisi sul settore vinicolo  evidenziano il tallone d’Achille delle cooperative nella mancanza di buona parte delle fasi produttive a monte della filiera, a cui sono legati terreni e cespiti produttivi, per cui le cooperative figurano meno patrimonializzate e con debiti finanziari che risultano quasi tre volta quelli delle altre società nazionali. E poi il pagamento delle uve ai soci. “Il primo passo nel 2023, è stato ripartire da remunerazioni corrette, più alte della media, valori determinati dal mercato come succede per le materie prime e le commodity”. Una strategia che concorre a scardinare la catena degli imbottigliatori, che acquistano uve da conferitori terzi, ma a prezzi scontati, per fare volumi a basso costo. Ogni singolo vignaiolo può dare valore aggiunto, a tutto il territorio.” Abbiamo quattromila aziende produttrici che non riescono a fare massa con una dispersione del capitale investito. Vogliamo fare sistema, creare una holding ispirata al principio mutualistico che controlli un centro operativo comune con servizi, a partire da una pressatrice condivisa”, spiega Callegari. Il modello di riferimento è quello della regione della Champagne, dove un singolo centro di pressatura ha dimostrato di catalizzare e incrementare la capacità produttiva dell’area. L’obiettivo è aumentare la capacità produttiva acquisendo nuovi soci oltre i 5.000 ettari di contribuzione attuale, che includono sia l’Oltrepò Pavese, sia i Colli Piacentini.

LA ZONAZIONE


Una cantina sociale deve dare indicazioni anche sulla rotta da seguire e su quali varietà investire. E’ quello che fa anche La Genisia, costola d’avanguardia del più grande Gruppo Torrevilla, altro motore del rilancio dell’Oltrepò Pavese: un network di 20 soci che insieme hanno  realizzato un progetto di  zonazione portato avanti sotto la guida di Leonardo Valenti, docente all’Università di Milano, artefice del successo di tanti percorsi sperimentali in giro per l’Italia, uno tra tanti quello con Marco Caprai, il re del Sagrantino di Montefalco, in Umbria.  In questa terra al confine tra Liguria, Piemonte,  Lombardia e Emilia Romagna si trovano i loro 70 ettari vitati appollaiati tra le colline lombarde tra i 200 e i 600 metri, attorno ai comuni di Codevilla (Pavia e dintorni), scelti uno per uno come gli stessi viticoltori. “Viticoltori che oggi seguono linee chiare e univoche sui metodi culturali da impiegare per ricavare solo la miglior uva  in una filiera completamente tracciabile, dalla vigna alla bottiglia per raggiungere standard qualitativi d’eccellenza” racconta Dario Barbatti, consulente di gestione e commerciale che con Simone Fiore, enologo, ha seguito passo passo il progetto ideato da Leonardo Valenti.” La Genisia è la prima cantina sociale del territorio a scegliere le squadre di raccolta e ad organizzare una sequenza completamente gestita dall’azienda in modo centralizzato. Un metodo che è stato applicato al vitigno Pinot Nero ma che nei prossimi anni verrà implementato coinvolgendo tutte le varietà”, racconta l’enologo Simone Fiori.

LA NUOVA GOVERNANCE


A luglio scorso si sono dimessi dal Cda del Consorzio di Tutela 5 produttori rappresentanti degli imbottigliatori, fino ad allora l’anima più forte del Consorzio. Al vertice, ora c’è Francesca Seralvo, presidente, affiancata dal nuovo direttore generale, Riccardo Binda che arriva dal  consorzio di tutela di Bolgheri, la patria dei Supertuscan. La nuova governance ha ricevuto anche il suggello della Regione Lombardia con l’assessore all’Agricoltura, Sovranità alimentare e Foreste, Alessandro Beduschi. Un buon segnale, sia istituzionale che economico: dalla Regione, si sa, arrivano anche i principali finanziamenti per il settore.

Il PINOT NERO


Il Pinot Nero è uno dei vitigni alla base degli champagne. L’Oltrepò Pavese è la terza regione per produzione di questo vitigno in Europa.  Era il 1850 quando il Conte Augusto Giorgi di Vistarino, per primo, importava dalla Francia il nobile vitigno, per metterlo a dimora a Tenuta di Rocca de’ Giorgi. Proprio quel lembo di terra dove oggi una singola parcella piantata a 550 metri dai fratelli Cristian e Stefano Calatroni, oltre ai Tre Bicchieri con OP M. Cl. Pinot Nero Pas Dosé Poggio dei Duca 2019, ha ottenuto anche il premio speciale di Bollicina dell’Anno Gambero Rosso. Siamo nell’Alta Valle Versa, dove gli eredi del Conte Augusto Giorgi tengono alto il marchio di famiglia: la pronipote Ottavia Giorgi di Vistarino guida l’azienda Conte Vistarino e ha messo a punto un piano pluriennale di investimenti e crescita. Per supportarlo, da metà marzo, ha chiamato Lino Scaravonati, nuovo Direttore Generale,  che fino a febbraio aveva ricoperto la carica di Direttore di Produzione di Bisol1542, azienda del Gruppo Lunelli, produttori del Ferrari, dove è stato manager per oltre venti anni. Per far capire la portata: Bisol, creata dai fratelli, è stata la locomotiva del boom del Prosecco nel mondo. Il Prosecco alto di gamma, si intende. E i Lunelli, con il Ferrari, hanno fatto da locomotiva per la creazione del distretto Metodo Classico Trento Doc.

BOLLICINE E ROSSI FERMI


Lo spumante Metodo Classico è il cavallo di battaglia del territorio. Mediobanca dice che le bollicine sono anche più remunerative. Su ogni bottiglia, però, incidono i costi dei tempi di giacenza  e della lunga maturazione. Ma ora si punta anche sui rossi fermi che, quando diventano grandi, chiedono lunghe maturazioni a loro volta che però – la Borgogna insegna – fanno impennare le quotazioni. Durante una degustazione alla cieca di dieci etichette di rossi fermi, tra le quali si nascondeva un Borgogna di La Pousse d’Or - cantina biodinamica che può raggiungere quotazioni stratosferiche- si sono fatte strada Poggio della Buttinera Doc 2019 di Travaglino, produttore storico che, altro segnale del fermento,  è appena rientrato nel Consorzio di tutela. Poi il Giorgio Odero millesimo 2014 di Frecciarossa (trascrizione errata nei documenti da un termine dialettale): etichetta creata in onore del  figlio del fondatore, Mario: pioniere della formazione in Champagne e Borgogna, è stato tra i primi  a vendere in bottiglia quando l’Italia era ancora la damigiana d’Europa. Negli anni ‘20 il Frecciarossa già si conosceva fuori dall’Oltrepo’ Pavese e nel ‘30 si vendeva in Usa. Sempre col timone sui Rossi, Conte Vistarino Pinot Nero Pernice 21, ha preso i Tre Bicchieri.

TERRENI, ARRIVANO GLI INVESTITORI


L’indagine sul mercato fondiario di Crea rileva che un ettaro di terreno in Barolo può arrivare a due milioni di euro, qualche volta anche al doppio. Ci vuole un milione per i vigneti di Brunello di Montalcino e per la Doc Bolgheri, la Doc Etna, emergente, è arrivata a 100mila euro. Seicentomila per un vigneto nelle colline del Prosecco per i vini della Docg Conegliano Valdobbiadene. L’Oltrepò Pavese quota tra i 25-45 mila, fanalino di coda delle valutazioni. Per ora. Perché stanno arrivando gli investitori, pronti a comprare oggi per incassare plusvalenze domani. Una scommessa sul potenziale, come racconta Mario Cordero, arrivato qui dalle Langhe: “L’ho fatto per i miei figli”, dice senza mezzi termini. Mario  Cordero, lo ricordiamo, ha guidato la cantina Vietti di Castiglione Falletto, marchio che ha fatto la storia di Barolo e Barbera. Nel 2016 ha venduto al magnate americano Kyle Krause. Spalle finanziarie solide, Cordero è  partito per la nuova avventura nell’Oltrepò Pavese, dove ha comprato Tenuta San Giorgio, appartenuta in passato ai Marchesi Sauli di Genova, famosa anche per la torre merlata del XVI secolo. Francesco, Lorenzo e Caterina, i figli, al timone della tenuta ribattezzata Cordero San Giorgio. “Un cambiamento più radicale, affascinato alle possibilità di un’altra grande uva rossa: il Pinot Nero”, commenta Mario Cordero.  Una serie di investimenti in terra di Oltrepò sono arrivati da nomi importanti del vino italiano. ”L’obiettivo è la qualità, in un territorio dalle grandi potenzialità”, ha dichiarato Paolo Ziliani, alla guida del brand di Franciacorta Berlucchi, quando ha acquisito Vighe Olcru, boutique winery a Santa Maria La Versa. Stesso discorso per Tommasi, viticoltori della Valpolicella da quattro generazioni che hanno acquisito Caseo; dalla Valpolicella è arrivato anche Masi, che ha comprato Casa Re. Masi, presieduta da Sandro Boscaini, re dell’Amarone, è quotata alla Borsa italiana ed è stato il primo a usare il private equity nel mondo del vino. Non si può dire che manchi di lungimiranza. In questo fazzoletto di terra a Nord addirittura vengono dal Sud: Cantine Ermes, realtà con il cuore in Sicilia ha acquisito, in asta giudiziaria, la Cantina Sociale di Canneto. Manca solo che arrivi Bernard Arnault, patron del big del lusso Lvmh, a caccia di nuovi vigneti dal grande potenziale in tutto il mondo. In Oltrepò Pavese ha sempre avuto il suo buen retiro la famiglia di Letizia e Gian Marco Moratti. Castello di Cigognola, sulla scia dei più importanti bordolesi, è oggi gestita dal figlio Gabriele che ha chiamato dallo champagne l'enologo Nicolas Secondé, fautore di grandi rinnovamenti in vigna e in cantina, come la pressatura dei graspi. “Siamo gestiti come una startup, attorno a un tavolo di lavoro comune”, racconta Alberto Zucchi Frua, enologo prestato al ruolo commerciale.

L’ARTE DELLA BOTTIGLIA


L’etichetta, ma a che serve, quello che conta è il vino! Cosi mi diceva il nonno”, ricorda un manager milanese originario dell’Oltrepò. A parte le cantine di punta, un tempo pochi hanno avuto la percezione del futuro. Oggi tira aria di rinnovamento su tutti i fronti. E anche l’etichetta gioca il suo ruolo nello scacchiere globale del vino. Ne sa qualcosa Alessio Brandolini, terza generazione, che ha affidato a  Beppe Pasciutti, artista italiano originario della Lomellina, la creazione delle originali etichette che caratterizzano i suoi vini e che richiamano subito l’attenzione. Etichette che ricordano i quadri e lo stile di Mirò e che si fanno subito riconoscere per il richiamo ai caratteri originari della scrittura assiro-babilonese pre-cuneiforme, che “rappresentano simbolicamente la realtà in modo gioioso e vitale”, racconta Brandolini.

ENOTURISMO


Quando un territorio decade, diventa inospitale. Chiudono ristoranti e bar, il business muore e la gente si chiude in se stessa. E’ quello che è successo all’Oltrepò Pavese. Oggi, sono proprie le cantine ad riaprire le porte, con resort e ristoranti, per fare perno sull’enoturismo, in pieno boom. l’Oltrepò è una distesa immensa di colline, solcate da quattro valli, dominate da castelli, torri e rocche, dove i vigneti si perdono tra boschi e seminativi, di completa biodiversità.  Attorno alla costruzione di un brand legato a doppio filo al vitigno e al territorio, la Genisia, per esempio, ha costruito attività di attrazione turistica destinate a crescere nel tempo, una wine experience che propone percorsi in e-bike e a piedi in mezzo ai vigneti, passeggiate a cavallo, guidati da accompagnatori pronti a mostrare le bellezze naturalistiche e culturali della zona. Si chiama agriturismo ma è resort a cinque stelle, con tanto di Spa e piscina con acqua salata, Prime Alture Wine Resort, a Casteggio, circondata da vigne, ulivi, boschi.“Produco attorno alle 40 mila bottiglie e i miei vini li vendo solo ai ristoranti d’alta fascia di Milano”, racconta il patron, Roberto Lechiancole: imprenditore del settore aeronautico, ha lasciato il core business al figlio maggiore e con la moglie, la figlia e i giovanissimi nipoti si è trasferito e trasformato in viticoltore e oste, tra i pionieri della rinascita dell’Oltrepò Pavese. Sul tetto della Jeep ha montato i pannelli solari, servono ad alimentare i due frigoriferi a temperatura differenziata per le bollicine e i rossi, che porta personalmente in degustazione, con tanto di calici. All’inizio apriva il ristorante di Prime Alture solo nei week end. Oggi qui si celebrano anche matrimoni. A bordo piscina,a riposarsi con un calice in mano, spuntano olandesi, svedesi e tedeschi.  Quei turisti del Nord Europa che hanno scoperto e fatto grande il ChiantiShire e poi il MarcheShire e altre terre. E’ arrivata l’ora dell’OltrepòShire?

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