Weekly Bulletin
Mercati e economie verso il puzzle 2025: incognite e opportunità, da Trump alla Cina
Le mosse e le nomine fuori dal cliché del nuovo Presidente, la superpotenza asiatica in difficoltà ma continua ad allargarsi nel Sud del mondo, l’Europa spettatrice, Wall Street tiene mentre il Bitcoin corre
di Stefano Caratelli 25 Novembre 2024 08:15
Il 2025, che per mercati e economie, partirà solo il 20 gennaio con l’insediamento ufficiale di Trump, si prospetta come un puzzle di composizione decisamente complessa. Tra i tanti tasselli da sistemare, gli uomini e la linea della nuova Amministrazione, i rapporti con la Cina e un’Europa sempre più in ordine sparso, la soluzione possibile dei conflitti attuali e potenziali in giro per il mondo, dall’Ucraina al Medio Oriente, fino a Taiwan, il futuro della transizione energetica, la combinazione tra deregulation americana in arrivo e diffusione sempre più capillare dell’Intelligenza Artificiale. Cominciamo con la squadra che il presidente numero 47 sta mettendo insieme tra stop and go, che sembra contraddire molte cose date per scontate di The Donald, spesso dipinto come suprematista, omofobo maschilista e guerrafondaio, nonostante i suoi precedenti 4 anni alla Casa Bianca siano stati molto più “pacifici” di quelli di Biden o Obama.
Per quanto riguarda la squadra, il nome sulla bocca di tutti è quello di Musk, si parla meno di Vivek Ramaswamy, imprenditore miliardario del farmaceutico di origini indiane, concorrente senza successo alle Primarie in Iowa, designato ad affiancare il missilistico fondatore di Tesla alla guida del DOGE, il nuovo dipartimento incaricato di ridimensionare drasticamente la burocrazia statale nel segno della deregulation e della liberazione degli spiriti animali del capitalismo. Ramaswamy ha un profilo paradossalmente simile a quello di Kamala Harris, eppure è stato scelto da Trump, così come Scott Bessent, destinato a guidare il Tesoro USA, anche qui in netto contrasto con il cliché trumpiano: 62 anni, dichiaratamente gay, sposato con due figli ma con un uomo, l’ex procuratore John Freeman, hedge fund manager di successo ma con un passato pluriennale di CIO della Soros (!) Capital Management.
Il posto sulla carta più importante, ricoperto in passato da statisti passati alla Storia come Jefferson, Marshall, Kissinger o Jim Baker, dovrebbe andare a Marco Rubio, figura meno forte di Musk e altri, ma tutto fa pensare che il vero Segretario di Stato sarà lo stesso Trump, con il cubano-americano nel ruolo di spalla, soprattutto per il Sudamerica. Il nuovo presidente dovrebbe lasciare la vecchia Europa “a bagnomaria”, lesinando le risorse soprattutto nella difesa, e concentrarsi su Medio Oriente e Cina. Quest’ultima partita non si gioca solo sui dazi, il primato tecnologico e Taiwan, ma è globale, con uno scacchiere importante proprio in quello che una volta era il “cortile di casa” degli americani, quel pezzo di continente che sta sotto il Messico.
L’inaugurazione in Perù del mega-porto cinese di Chancay, che dovrebbe attirare miliardi di investimenti creando una rotta diretta sul Pacifico, è solo l’ultimo passo dell’espansione di Pechino in America Latina, illustrata in impressionanti mappe pubblicate di recente dal WSJ e riportate qui sotto.
La Cina ha soppiantato gli USA come primo partner commerciale del Sud America
A fine millennio il subcontinente americano era praticamente una colonia USA, poi dall’inizio degli anni 2000, guarda caso in coincidenza con l’ingresso della Cina nel WTO, Pechino è man mano diventato di gran lunga il primo partner commerciale dell’America Latina, con interessi strategici che vanno dalle infrastrutture alle risorse minerarie e alle materie prime. Un percorso analogo è stato seguito nei decenni in Africa, sempre ai danni soprattutto degli USA, mentre proprio nel “suo” continente, l’Asia, ha dovuto accettare qualche ritirata sempre americana a favore di vicini ritenuti più affidabili, come il Vietnam, mentre l’economia e i mercati domestici non riescono a uscire dal pantano della crisi immobiliare e dei consumi stagnanti, nonostante gli stimoli.
Anche la transizione energetica alla fine sembra una partita cinese, su due fronti. È chiaro che con Trump assisteremo a un disimpegno americano dagli aspetti più ideologici della politica verde, lasciandone il monopolio all’Europa, con mano libera alle trivellazioni di petrolio e gas. Ma è anche vero che l’uscita dall’era fossile è un processo inarrestabile, che si gioca sul terreno delle tecnologie, delle componenti e delle materie prime, dove la Cina, che se ne infischia quanto Trump di rispettare gli obiettivi ONU sulle emissioni, sta accumulando un vantaggio formidabile. È una partita globale, che si gioca anche nel Sud del mondo, dall’America Latina all’Africa, in cui gli americani non possono permettersi di giocare solo sull’isolazionismo e il protezionismo.
Bottom line. Il 20 gennaio 2025 si aprono 4 anni di grande movimento, con implicazioni importanti e forse storiche per economie e mercati. Per gli investitori le opportunità non mancheranno, come sempre condite da rischi. L’America di Trump e la sfida con la Cina sono al centro dell’attenzione e degli sviluppi possibili, con l’Europa potenziale beneficiaria se riesce a ritrovare coesione, a cominciare dal completamento dell’Unione soprattutto in campo finanziario.
NOMI IN CONTRASTO CON IL CLICHÉ TRUMPIANO
Per quanto riguarda la squadra, il nome sulla bocca di tutti è quello di Musk, si parla meno di Vivek Ramaswamy, imprenditore miliardario del farmaceutico di origini indiane, concorrente senza successo alle Primarie in Iowa, designato ad affiancare il missilistico fondatore di Tesla alla guida del DOGE, il nuovo dipartimento incaricato di ridimensionare drasticamente la burocrazia statale nel segno della deregulation e della liberazione degli spiriti animali del capitalismo. Ramaswamy ha un profilo paradossalmente simile a quello di Kamala Harris, eppure è stato scelto da Trump, così come Scott Bessent, destinato a guidare il Tesoro USA, anche qui in netto contrasto con il cliché trumpiano: 62 anni, dichiaratamente gay, sposato con due figli ma con un uomo, l’ex procuratore John Freeman, hedge fund manager di successo ma con un passato pluriennale di CIO della Soros (!) Capital Management.
TRUMP GIOCHERÀ IN PRIMA PERSONA LE PARTITE CON CINA E MEDIO ORIENTE
Il posto sulla carta più importante, ricoperto in passato da statisti passati alla Storia come Jefferson, Marshall, Kissinger o Jim Baker, dovrebbe andare a Marco Rubio, figura meno forte di Musk e altri, ma tutto fa pensare che il vero Segretario di Stato sarà lo stesso Trump, con il cubano-americano nel ruolo di spalla, soprattutto per il Sudamerica. Il nuovo presidente dovrebbe lasciare la vecchia Europa “a bagnomaria”, lesinando le risorse soprattutto nella difesa, e concentrarsi su Medio Oriente e Cina. Quest’ultima partita non si gioca solo sui dazi, il primato tecnologico e Taiwan, ma è globale, con uno scacchiere importante proprio in quello che una volta era il “cortile di casa” degli americani, quel pezzo di continente che sta sotto il Messico.
CONTINUA LA CONQUISTA CINESE DEL SUD DEL MONDO
L’inaugurazione in Perù del mega-porto cinese di Chancay, che dovrebbe attirare miliardi di investimenti creando una rotta diretta sul Pacifico, è solo l’ultimo passo dell’espansione di Pechino in America Latina, illustrata in impressionanti mappe pubblicate di recente dal WSJ e riportate qui sotto.
La Cina ha soppiantato gli USA come primo partner commerciale del Sud America
A fine millennio il subcontinente americano era praticamente una colonia USA, poi dall’inizio degli anni 2000, guarda caso in coincidenza con l’ingresso della Cina nel WTO, Pechino è man mano diventato di gran lunga il primo partner commerciale dell’America Latina, con interessi strategici che vanno dalle infrastrutture alle risorse minerarie e alle materie prime. Un percorso analogo è stato seguito nei decenni in Africa, sempre ai danni soprattutto degli USA, mentre proprio nel “suo” continente, l’Asia, ha dovuto accettare qualche ritirata sempre americana a favore di vicini ritenuti più affidabili, come il Vietnam, mentre l’economia e i mercati domestici non riescono a uscire dal pantano della crisi immobiliare e dei consumi stagnanti, nonostante gli stimoli.
LA PARTITA GLOBALE DELLA TRANSIZIONE ENERGETICA E IL VANTAGGIO CINESE
Anche la transizione energetica alla fine sembra una partita cinese, su due fronti. È chiaro che con Trump assisteremo a un disimpegno americano dagli aspetti più ideologici della politica verde, lasciandone il monopolio all’Europa, con mano libera alle trivellazioni di petrolio e gas. Ma è anche vero che l’uscita dall’era fossile è un processo inarrestabile, che si gioca sul terreno delle tecnologie, delle componenti e delle materie prime, dove la Cina, che se ne infischia quanto Trump di rispettare gli obiettivi ONU sulle emissioni, sta accumulando un vantaggio formidabile. È una partita globale, che si gioca anche nel Sud del mondo, dall’America Latina all’Africa, in cui gli americani non possono permettersi di giocare solo sull’isolazionismo e il protezionismo.
Bottom line. Il 20 gennaio 2025 si aprono 4 anni di grande movimento, con implicazioni importanti e forse storiche per economie e mercati. Per gli investitori le opportunità non mancheranno, come sempre condite da rischi. L’America di Trump e la sfida con la Cina sono al centro dell’attenzione e degli sviluppi possibili, con l’Europa potenziale beneficiaria se riesce a ritrovare coesione, a cominciare dal completamento dell’Unione soprattutto in campo finanziario.
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