L'analisi

L’impatto dei dazi di Trump: per LGIM potrebbero costare al Messico l’1% del Pil

Erik Lueth, Global Emerging Market Economist, spiega il ruolo di ponte che la Cina usa per aggirare le tariffe attualmente esistenti e stima l’impatto delle nuove sul vicino a Sud degli USA se venissero applicate

di Stefano Caratelli 3 Dicembre 2024 08:00

financialounge -  Erik Lueth
Il Messico è sempre stato un potenziale beneficiario dei dissidi tra Cina e USA, a cui è vicino sia geograficamente che politicamente, ha un accordo commerciale e proprio come la Cina è un grande polo manifatturiero, che nel 2022 ha sorpassato quest’ultima come principale fornitore di Washington. Ma già dal giorno delle elezioni si è capito che un ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca avrebbe potuto significare guai per il paese, e anche per il Canada.

LA RINEGOZIAZIONE DEGLI ACCORDI COMMERCIALI NEL 2026


Erik Lueth, Global Emerging Market Economist di LGIM, non è sorpreso che il tycoon abbia minacciato di imporre dazi al 25% sulle importazioni dai due Stati, in quanto l’accordo commerciale di cui sopra dovrà essere ricontrattato a luglio 2026 e questo permetterebbe a Trump di arrivarci da una posizione contrattuale forte. Inasprire i rapporti commercial con il Messico, secondo Lueth, ha anche lo scopo di colpire la Cina, che da quando le sono stati imposti i primi dazi ha adottato per aggirarli la soluzione di far passare le merci dal Messico.

ALTO VALORE AGGIUNTO DEL PONTE PER LA TECNOLOGIA CINESE


Cosa vuol dire in pratica? L’esperto di LGIM ricorda che tra il 2016 e il 2024 le esportazioni verso gli USA di tecnologia avanzata dal Messico sono cresciute del 70%, superando i 90 miliardi di dollari, con i incrementi soprattutto nell’IT, nel life science, nell’elettronica e nell’aerospaziale, tutti segmenti in cui la nazione latino-americana non gode di un particolare vantaggio competitivo. Inoltre, all’aumento dell’export di fascia alta è corrisposto un aumento delle importazioni, sempre di fascia alta, dalla Cina o altri paesi dell’Asia Orientale. Tutto sembra confermare che il Messico è diventato il canale per cui i prodotti cinesi riescono a entrare negli Usa aggirando i dazi.

DIFFICILE PREVEDERE SE IL MESSICO TAGLIERÀ CON LA CINA


Considerando che la maggior parte delle esportazioni cinesi rientra nel campo tecnologico, la possibilità che gli USA si impegnino per tagliare questi ponti è alta, e i mercati si chiedono se il Messico rivedrà i rapporti con la Cina per mantenere il ruolo di fornitore primario degli USA, considerando anche che una stretta farebbe perdere il valore aggiunto delle rielaborazioni prima di spedire oltre frontiera i prodotti. L’esperto di LGIM rileva che è impossibile sapere oggi la risposta, ma si possono comunque stimare le conseguenze dell’inazione.

MA LE PROSPETTIVE DI CRESCITA RESTANO COMUNQUE POSITIVE


Oggi il valore aggiunto del Messico vale il 30% del prezzo di vendita, per cui, rinunciando alla componente cinese, il Messico dovrebbe rinunciare fino all’1% del PIL, in caso di un “ban” completo, secondo la stima di Lueth. Ma LGIM ritiene che il Messico sia ancora un mercato con prospettive di crescita positive, in primo luogo perché continua a perseguire politiche macroeconomiche solide, ha i tassi reali più alti dopo il Brasile e vuol attuare un consolidamento fiscale del 2% nel 2025. Inoltre, anche la riforma giudiziaria non sembra creare grandi preoccupazioni, dato che anche in Polonia sono stati attuati provvedimenti simili e le performance nazionali non sembrano averne risentito, almeno su un orizzonte visibile.

PESO SVALUTATO UN VANTAGGIO PER L’EXPORT


L’esperto di LGIM aggiunge che bisogna anche considerare la svalutazione del peso messicano, che da aprile ha ceduto il 20%. Sicuramente una cattiva notizia per i consumi interni, ma a livello di esportazioni potrebbe aiutare il paese a contrastare le tariffe doganali di Trump, qualora dovessero essere veramente applicate.

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