Cosa aspettarsi
Secondo LGIM c’è il rischio che i mercati stiano sottovalutando Trump 2.0
Il ciclo economico avanzato, l’elevata inflazione e l’alto indebitamento degli Usa costringeranno il Congresso ad attuare politiche fiscali restrittive che, assieme alle tariffe, potrebbero perfino innescare una recessione globale
di Leo Campagna 15 Dicembre 2024 12:00
Dopo la netta vittoria alle ultime elezioni, Donald Trump si appresta a iniziare il suo secondo mandato presidenziale. Tuttavia, se sono note le politiche che intende applicare (deregolamentazione, tagli alle tasse, dazi doganali e strette sull’immigrazione) non se ne conoscono le tempistiche e la portata. Nonostante queste incertezze, in molti continuano a vedere il “soft landing” come lo scenario più probabile.
A sostenere questa visione la convinzione che i nuovi dazi sulle importazioni cinesi saranno applicati a partire dalla fine del 2025 senza ulteriori impennate brusche negli anni successivi. Sempre in tema di dazi, quelli applicati ad altri Paesi, se ci saranno, dovrebbero essere contenuti. Il tutto mentre l’effetto inflazionistico generato sarà temporaneo e l’impatto sulla crescita sarà compensato dai benefici derivanti dalla deregolamentazione e dal taglio delle imposte. Le disposizioni sull’immigrazione, infine, dovrebbero prevedere una stretta sugli ingressi, ma è difficile che si assisterà a deportazioni, se non nel caso di criminali o in altri casi particolari.
“Riteniamo queste previsioni eccessivamente ottimistiche e troppo basate su quanto accaduto durante la prima amministrazione Trump. Oggi, invece, lo scenario è diverso: il ciclo economico è in una fase più avanzata, l’inflazione è al di sopra e non al di sotto dei livelli target e il rapporto deficit/Pil negli States è molto più elevato rispetto al passato” tiene a precisare Tim Drayson, Head of Economics di Legal & General Investment Management (LGIM).
I tanto attesi stimoli dalla politica fiscale potrebbero pertanto non arrivare. Anzi, il Congresso sarà costretto a cercare i nuovi fondi con possibili tagli alla spesa pubblica e l’abrogazione di parti dell’Inflation Reduction Act per riuscire a rifinanziare i tagli delle tasse che scadranno nel 2025. In quest’ottica, non si può escludere da parte dei legislatori l’uso dei dazi come un mezzo (rischioso) per generare nuove entrate per evitare provvedimenti che impattino direttamente le misure a sostegno della popolazione.
Secondo Drayson, inoltre, si starebbe sottovalutando l’estensione e l’impatto dei dazi. Durante la prima amministrazione Trump le ripercussioni delle tariffe applicate (cresciute però in media soltanto del 2%) hanno procurato effetti soprattutto sui prezzi dei beni, limitando gli impatti sui redditi reali e sulla spesa dei consumatori. Se Trump dovesse davvero applicare quanto dichiarato in campagna elettorale (il 60% sulla Cina e il 10% sul resto del mondo) sarebbe otto volte superiore ed è impossibile prevedere chi ne sarebbe più danneggiato.
“Non si può pertanto escludere che la combinazione di catene di approvvigionamento profondamente modificate, una minore fiducia, una contrazione degli investimenti delle imprese e politiche fiscali più stringenti, possano anche innescare una recessione globale” spiega Drayson. Le politiche “America First” dell’amministrazione Trump danneggerebbero soprattutto la Cina, nonostante la dipendenza del paese dalle sue esportazioni verso l’America si sia quasi dimezzata rispetto al 2018. Ma gli impatti si farebbero sentire anche nel Vecchio Continente. Nell’Unione Europea, la cui crescita è stagnante con molti paesi che potrebbero tornare ad adottare politiche fiscali restrittive, il grande interrogativo è la Germania. Berlino deciderà di allentare i suoi vincoli interni sull’indebitamento per risolvere i propri problemi strutturali?
Drayson è prudente anche nei confronti del Regno Unito. “La fiducia delle imprese sembra essersi incrinata dopo il recente aumento delle imposte mentre i tassi di interesse si sono mossi al rialzo e questo potrebbe azzerare qualsiasi impulso alla crescita derivante dall’aumento della spesa pubblica. Inoltre, nel caso in cui il Regno Unito fosse coinvolto in una guerra commerciale globale, la Banca d’Inghilterra potrebbe dover tagliare i tassi più rapidamente di quanto attualmente previsto dai mercati” conclude l’Head of Economics di LGIM.
LA TESI A SOSTEGNO DEL SOFT LANDING
A sostenere questa visione la convinzione che i nuovi dazi sulle importazioni cinesi saranno applicati a partire dalla fine del 2025 senza ulteriori impennate brusche negli anni successivi. Sempre in tema di dazi, quelli applicati ad altri Paesi, se ci saranno, dovrebbero essere contenuti. Il tutto mentre l’effetto inflazionistico generato sarà temporaneo e l’impatto sulla crescita sarà compensato dai benefici derivanti dalla deregolamentazione e dal taglio delle imposte. Le disposizioni sull’immigrazione, infine, dovrebbero prevedere una stretta sugli ingressi, ma è difficile che si assisterà a deportazioni, se non nel caso di criminali o in altri casi particolari.
PREVISIONI ECCESSIVAMENTE OTTIMISTICHE
“Riteniamo queste previsioni eccessivamente ottimistiche e troppo basate su quanto accaduto durante la prima amministrazione Trump. Oggi, invece, lo scenario è diverso: il ciclo economico è in una fase più avanzata, l’inflazione è al di sopra e non al di sotto dei livelli target e il rapporto deficit/Pil negli States è molto più elevato rispetto al passato” tiene a precisare Tim Drayson, Head of Economics di Legal & General Investment Management (LGIM).
COSA FARA’ IL CONGRESSO USA
I tanto attesi stimoli dalla politica fiscale potrebbero pertanto non arrivare. Anzi, il Congresso sarà costretto a cercare i nuovi fondi con possibili tagli alla spesa pubblica e l’abrogazione di parti dell’Inflation Reduction Act per riuscire a rifinanziare i tagli delle tasse che scadranno nel 2025. In quest’ottica, non si può escludere da parte dei legislatori l’uso dei dazi come un mezzo (rischioso) per generare nuove entrate per evitare provvedimenti che impattino direttamente le misure a sostegno della popolazione.
IL (VERO) IMPATTO DEI DAZI
Secondo Drayson, inoltre, si starebbe sottovalutando l’estensione e l’impatto dei dazi. Durante la prima amministrazione Trump le ripercussioni delle tariffe applicate (cresciute però in media soltanto del 2%) hanno procurato effetti soprattutto sui prezzi dei beni, limitando gli impatti sui redditi reali e sulla spesa dei consumatori. Se Trump dovesse davvero applicare quanto dichiarato in campagna elettorale (il 60% sulla Cina e il 10% sul resto del mondo) sarebbe otto volte superiore ed è impossibile prevedere chi ne sarebbe più danneggiato.
NON SI PUO’ ESCLUDERE UNA RECESSIONE GLOBALE
“Non si può pertanto escludere che la combinazione di catene di approvvigionamento profondamente modificate, una minore fiducia, una contrazione degli investimenti delle imprese e politiche fiscali più stringenti, possano anche innescare una recessione globale” spiega Drayson. Le politiche “America First” dell’amministrazione Trump danneggerebbero soprattutto la Cina, nonostante la dipendenza del paese dalle sue esportazioni verso l’America si sia quasi dimezzata rispetto al 2018. Ma gli impatti si farebbero sentire anche nel Vecchio Continente. Nell’Unione Europea, la cui crescita è stagnante con molti paesi che potrebbero tornare ad adottare politiche fiscali restrittive, il grande interrogativo è la Germania. Berlino deciderà di allentare i suoi vincoli interni sull’indebitamento per risolvere i propri problemi strutturali?
PRUDENZA ANCHE PER IL REGNO UNITO
Drayson è prudente anche nei confronti del Regno Unito. “La fiducia delle imprese sembra essersi incrinata dopo il recente aumento delle imposte mentre i tassi di interesse si sono mossi al rialzo e questo potrebbe azzerare qualsiasi impulso alla crescita derivante dall’aumento della spesa pubblica. Inoltre, nel caso in cui il Regno Unito fosse coinvolto in una guerra commerciale globale, la Banca d’Inghilterra potrebbe dover tagliare i tassi più rapidamente di quanto attualmente previsto dai mercati” conclude l’Head of Economics di LGIM.