Prospettive per il nuovo anno
Ecco come le politiche di Trump impatteranno sul debito dei mercati emergenti
Secondo l'analisi di Capital Group il contesto appare positivo per i Paesi in via di sviluppo, nonostante l'incognita legata alle politiche economiche del nuovo presidente statunitense
di Davide Lentini 12 Gennaio 2025 12:00
Nel 2024 il quadro macroeconomico globale complessivo è stato favorevole agli asset rischiosi, grazie alla solida crescita economica, ai tagli dei tassi della Fed e all’avvio della disinflazione. Anche quest’anno il contesto appare positivo per i mercati emergenti, sempre grazie alla decrescita dell’inflazione che dovrebbe consentire a gran parte delle principali banche centrali di ridurre considerevolmente i tassi. Resta l’incognita Trump da cui, secondo Robert Burgess, Gestore di portafogli e direttore della ricerca di Capital Group, provengono diversi rischi.
In vista del suo insediamento il prossimo 20 gennaio, il neo presidente Usa ha già annunciato, infatti, quattro proposte di politica economica: aumentare i dazi, far diminuire o invertire l’immigrazione, abbassare le tasse e ridurre la regolamentazione, principalmente nei settori energetico e finanziario. “Sono misure che presentano sfide per mercati emergenti - commenta Burgess - Al momento, però, le politiche statunitensi sono altamente imprevedibili e le misure potrebbero rivelarsi meno vigorose di quanto ventilato in campagna elettorale, specialmente sul versante dei dazi”.
Tenendo conto di quest’incertezza, Capital Group analizza i principali fattori in grado di influenzare il debito dei mercati emergenti, a partire dai tassi di interesse globali e locali. “Sia le politiche espansive che i dazi degli Stati Uniti potrebbero esercitare una pressione al rialzo sull’inflazione - spiega Burgess - Tagliare le tasse senza ridurre la spesa vuol dire stimolare la domanda complessiva nell’economia, il che comporta generalmente un aumento dei prezzi e, potenzialmente, anche dei salari. I dazi, dal canto loro, determinerebbero un incremento dell’inflazione negli Stati Uniti e possono offrire ai produttori nazionali, con meno concorrenza dall’estero, più margine per alzare i prezzi. Se questo si tradurrà in un’inflazione sostenuta dipenderà dalla risposta della Fed: nel caso di una Fed aggressiva, ciò potrebbe esercitare pressioni su alcune banche centrali dei mercati emergenti affinché mantengano tassi di interesse più elevati a livello nazionale”.
A rischiare di più sono i Paesi dei mercati emergenti con le maggiori vulnerabilità, specialmente quelli con un’inflazione elevata o persistente e con una bassa stabilità esterna. Secondo l’analisi di Capital Group, le banche centrali di questi Paesi potrebbero tagliare i tassi in misura minore o addirittura alzarli a seconda dell’entità delle variazioni dei tassi di cambio. Burgess ricorda come il Brasile, ad esempio, sia già stato costretto a incrementare i tassi in risposta alla debolezza della propria valuta e ai timori del mercato sui relativi conti pubblici.
Sul fronte delle valute, eventuali dazi e politiche più espansive da parte di Trump dovrebbero portare a un rafforzamento, almeno all’inizio, del dollaro. Maggiori tariffe, infatti, riducono tendenzialmente la domanda di beni importati negli Stati Uniti per via del loro maggior costo, facendo restringere quella delle rispettive valute estere, destinate così a indebolirsi. Un impatto che tende ad amplificarsi man mano che i consumatori reperiscono beni sostitutivi e modificano le proprie abitudini di consumo. Ma nel lungo periodo, i dazi potrebbero determinare un peggioramento delle prospettive di crescita negli Stati Uniti, fatto generalmente negativo per il biglietto verde. “Analogamente - Robert Burgess - un programma di politiche di bilancio espansive potrebbe aumentare le aspettative di crescita degli Stati Uniti e attirare flussi di capitale verso il Paese, favorendo così il dollaro, ma nel lungo periodo un maggior rapporto debito/Pil potrebbe esercitare una pressione di segno opposto sulla valuta americana”.
Nonostante i mercati emergenti si siano dimostrati resilienti dalla scorsa presidenza Trump resistendo a due guerre regionali e a una pandemia, restano alcuni punti deboli: “Generalmente sono gli indicatori di finanza pubblica - spiega l’analista di Capital Group - ma gran parte dei principali mercati emergenti ha esteso il profilo di scadenza del proprio debito e oggi emette di più in valuta locale. Molti Paesi dei ME, se necessario, hanno anche margini per ridurre i tassi e sostenere la crescita”. Anche i fondamentali delle società dei mercati emergenti sono in buone condizioni, soprattutto rispetto a quelle dei mercati sviluppati: grazie a una tenuta relativamente buona durante la pandemia si trovano generalmente in una situazione migliore che nel corso di gran parte dell’ultimo decennio.
Per Burgess nei mercati in valuta locale le valutazioni restano piuttosto attrattive dal momento che molte banche centrali dei mercati emergenti hanno alzato rapidamente i tassi quando le pressioni inflazionistiche hanno iniziato a intensificarsi nel 2022/23, ma poi sono state più caute a tagliarli quando le pressioni si sono attenuate. “Di conseguenza - aggiunge - molti Paesi hanno margini per allentare le politiche con l’obiettivo di sostenere la crescita, se necessario, a condizione che l’inflazione rimanga sotto controllo”. Nei mercati dei titoli di Stato in valuta forte le economie dei mercati emergenti presentano solidi fondamentali macroeconomici, ma occorre una maggiore selettività per via di valutazioni eterogenee. “I mercati emergenti con minori vulnerabilità esterne e squilibri interni - spiega l’analisi di Capital Group - offrono una maggior resilienza di mercato e più flessibilità da parte delle autorità, per far fronte ai rischi esterni, benché in queste economie ad alto rating, generalmente, gli spread siano piuttosto ridotti”.
Infine, riguardo il credito corporate dei ME, per Robert Burgess, Gestore di portafogli e direttore della ricerca di Capital Group, i fondamentali dei titoli corporate dei mercati emergenti sembrano in una situazione migliore, in quanto i contabili delle società dei mercati emergenti hanno per la maggior parte adottato un approccio più prudente ai finanziamenti. “Questi titoli - spiega - presentano una composizione geografica e una struttura dei rischi piuttosto diverse da quelle delle obbligazioni sovrane, e quindi forniscono un elemento di diversificazione. All’interno del segmento corporate, le obbligazioni investment grade a minor scadenza si sono dimostrate piuttosto resilienti in periodi di volatilità potendo così contribuire a un posizionamento difensivo”.
L'IMPATTO DELLE POLITICHE DI TRUMP
In vista del suo insediamento il prossimo 20 gennaio, il neo presidente Usa ha già annunciato, infatti, quattro proposte di politica economica: aumentare i dazi, far diminuire o invertire l’immigrazione, abbassare le tasse e ridurre la regolamentazione, principalmente nei settori energetico e finanziario. “Sono misure che presentano sfide per mercati emergenti - commenta Burgess - Al momento, però, le politiche statunitensi sono altamente imprevedibili e le misure potrebbero rivelarsi meno vigorose di quanto ventilato in campagna elettorale, specialmente sul versante dei dazi”.
LA FED E I TASSI DI INTERESSE
Tenendo conto di quest’incertezza, Capital Group analizza i principali fattori in grado di influenzare il debito dei mercati emergenti, a partire dai tassi di interesse globali e locali. “Sia le politiche espansive che i dazi degli Stati Uniti potrebbero esercitare una pressione al rialzo sull’inflazione - spiega Burgess - Tagliare le tasse senza ridurre la spesa vuol dire stimolare la domanda complessiva nell’economia, il che comporta generalmente un aumento dei prezzi e, potenzialmente, anche dei salari. I dazi, dal canto loro, determinerebbero un incremento dell’inflazione negli Stati Uniti e possono offrire ai produttori nazionali, con meno concorrenza dall’estero, più margine per alzare i prezzi. Se questo si tradurrà in un’inflazione sostenuta dipenderà dalla risposta della Fed: nel caso di una Fed aggressiva, ciò potrebbe esercitare pressioni su alcune banche centrali dei mercati emergenti affinché mantengano tassi di interesse più elevati a livello nazionale”.
LE RICADUTE SUI ME
A rischiare di più sono i Paesi dei mercati emergenti con le maggiori vulnerabilità, specialmente quelli con un’inflazione elevata o persistente e con una bassa stabilità esterna. Secondo l’analisi di Capital Group, le banche centrali di questi Paesi potrebbero tagliare i tassi in misura minore o addirittura alzarli a seconda dell’entità delle variazioni dei tassi di cambio. Burgess ricorda come il Brasile, ad esempio, sia già stato costretto a incrementare i tassi in risposta alla debolezza della propria valuta e ai timori del mercato sui relativi conti pubblici.
IL DOLLARO E LE ALTRE VALUTE
Sul fronte delle valute, eventuali dazi e politiche più espansive da parte di Trump dovrebbero portare a un rafforzamento, almeno all’inizio, del dollaro. Maggiori tariffe, infatti, riducono tendenzialmente la domanda di beni importati negli Stati Uniti per via del loro maggior costo, facendo restringere quella delle rispettive valute estere, destinate così a indebolirsi. Un impatto che tende ad amplificarsi man mano che i consumatori reperiscono beni sostitutivi e modificano le proprie abitudini di consumo. Ma nel lungo periodo, i dazi potrebbero determinare un peggioramento delle prospettive di crescita negli Stati Uniti, fatto generalmente negativo per il biglietto verde. “Analogamente - Robert Burgess - un programma di politiche di bilancio espansive potrebbe aumentare le aspettative di crescita degli Stati Uniti e attirare flussi di capitale verso il Paese, favorendo così il dollaro, ma nel lungo periodo un maggior rapporto debito/Pil potrebbe esercitare una pressione di segno opposto sulla valuta americana”.
FONDAMENTALI IN BUONE CONDIZIONI
Nonostante i mercati emergenti si siano dimostrati resilienti dalla scorsa presidenza Trump resistendo a due guerre regionali e a una pandemia, restano alcuni punti deboli: “Generalmente sono gli indicatori di finanza pubblica - spiega l’analista di Capital Group - ma gran parte dei principali mercati emergenti ha esteso il profilo di scadenza del proprio debito e oggi emette di più in valuta locale. Molti Paesi dei ME, se necessario, hanno anche margini per ridurre i tassi e sostenere la crescita”. Anche i fondamentali delle società dei mercati emergenti sono in buone condizioni, soprattutto rispetto a quelle dei mercati sviluppati: grazie a una tenuta relativamente buona durante la pandemia si trovano generalmente in una situazione migliore che nel corso di gran parte dell’ultimo decennio.
INVESTIRE NELLA CONGIUNTURA ATTUALE
Per Burgess nei mercati in valuta locale le valutazioni restano piuttosto attrattive dal momento che molte banche centrali dei mercati emergenti hanno alzato rapidamente i tassi quando le pressioni inflazionistiche hanno iniziato a intensificarsi nel 2022/23, ma poi sono state più caute a tagliarli quando le pressioni si sono attenuate. “Di conseguenza - aggiunge - molti Paesi hanno margini per allentare le politiche con l’obiettivo di sostenere la crescita, se necessario, a condizione che l’inflazione rimanga sotto controllo”. Nei mercati dei titoli di Stato in valuta forte le economie dei mercati emergenti presentano solidi fondamentali macroeconomici, ma occorre una maggiore selettività per via di valutazioni eterogenee. “I mercati emergenti con minori vulnerabilità esterne e squilibri interni - spiega l’analisi di Capital Group - offrono una maggior resilienza di mercato e più flessibilità da parte delle autorità, per far fronte ai rischi esterni, benché in queste economie ad alto rating, generalmente, gli spread siano piuttosto ridotti”.
IL CREDITO CORPORATE
Infine, riguardo il credito corporate dei ME, per Robert Burgess, Gestore di portafogli e direttore della ricerca di Capital Group, i fondamentali dei titoli corporate dei mercati emergenti sembrano in una situazione migliore, in quanto i contabili delle società dei mercati emergenti hanno per la maggior parte adottato un approccio più prudente ai finanziamenti. “Questi titoli - spiega - presentano una composizione geografica e una struttura dei rischi piuttosto diverse da quelle delle obbligazioni sovrane, e quindi forniscono un elemento di diversificazione. All’interno del segmento corporate, le obbligazioni investment grade a minor scadenza si sono dimostrate piuttosto resilienti in periodi di volatilità potendo così contribuire a un posizionamento difensivo”.