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Neuberger Berman: l’unica cosa certa sui dazi di Trump è una maggiore volatilità sui mercati
Per la casa d’investimento i prossimi trimestri potrebbero rivelarsi particolarmente instabili, con un incremento dei rischi di “incidenti” diplomatici legati a trattative commerciali ad alto rischio
di Leo Campagna 15 Febbraio 2025 09:30

Quale logica strategica guida la politica tariffaria dell’amministrazione Trump? Se lo è chiesto Joseph V. Amato, President and Chief Investment Officer Equities di Neuberger Berman, dopo i dazi recentemente proposti dal neoeletto presidente USA. Le misure inizialmente annunciate includevano dazi del 25% sui beni provenienti dal Messico, del 25% sui beni canadesi (con un’esenzione per i prodotti energetici tassati al 10%) e del 10% sui beni importati dalla Cina.
Le stime sull’impatto economico di queste tariffe variano, ma potrebbero ridurre il PIL degli Stati Uniti di 0,5-1% su base annua e incrementare l’inflazione core di 0,5%. Per quanto riguarda invece gli utili aziendali dell’indice S&P 500, gli analisti azionari stimano un calo compreso tra il 2% e il 3% per il 2025, con un rischio di ulteriori perdite in caso di ritorsioni, specialmente nei settori automobilistico e agricolo, che risultano particolarmente vulnerabili. Il gettito derivante da questi dazi, invece, potrebbe portare oltre 150 miliardi di dollari nelle casse del Tesoro statunitense.
“Le tariffe potrebbero pertanto essere considerate non solo come uno strumento di politica commerciale, ma anche una potenziale fonte alternativa di entrate fiscali per il governo” riferisce Amato. Uno scenario con tariffe elevate e, una volta introdotte, destinate a rimanere cambierebbe le prospettive economiche a lungo termine: le aspettative di inflazione, infatti, potrebbero subire un rialzo. In parallelo, l’eventualità di dover rivedere al ribasso le previsioni sul PIL eserciterebbe significativi impatti su un mercato azionario particolarmente sensibile alle dinamiche di crescita economica.
Al momento, il rapido rinvio dei dazi nei confronti di Messico e Canada, in attesa di ulteriori trattative, sembra indicare che si tratti di misure principalmente in ottica negoziale. Le contrattazioni potrebbero riguardare questioni chiave come il controllo delle frontiere, l’applicazione delle normative antidroga e l’incremento delle importazioni di prodotti agricoli statunitensi. Anche per l’Unione Europea il Presidente Trump reputa inevitabili nuove tariffe, accompagnate da richieste strategiche, quali un aumento della spesa per la difesa da parte dei Paesi europei e l’adozione di normative più favorevoli per il settore tecnologico americano.
Nel caso della Cina, infine, l’obiettivo principale sembra essere quello di costringere Pechino a rispettare gli impegni presi nell’accordo commerciale negoziato durante il primo mandato di Trump, in particolare per l’acquisto di beni e prodotti agricoli statunitensi. In aprile dovrebbero essere resi noti i rapporti dell’Ufficio del Rappresentante per il Commercio degli Stati Uniti e a quel punto Trump potrebbe decidere di introdurre ulteriori aumenti dopo il dazio del 10% appena implementato.
“Restiamo convinti che i dazi possano continuare a essere considerati principalmente uno strumento negoziale, piuttosto che un mezzo per generare gettito fiscale” rivela il CIO Equities di Neuberger Berman, secondo il quale comunque negli investimenti la prudenza è d’obbligo alla luce dell’incertezza che circonda questo tema.
“L’incertezza generata da queste politiche è tanta ma i fondamentali economici statunitensi restano solidi, sostenuti dalla forza del consumatore e dai potenziali benefici di altre politiche dell’amministrazione Trump, come la deregolamentazione. Le prospettive di crescita nominale degli Stati Uniti sono solidi come pure il potenziale di rendimento a lungo termine dei mercati azionari” spiega Amato.
Tuttavia, aggiunge il manager, l’incertezza legata ai dazi è in grado di spingere la volatilità sui mercati, in particolare su quelli non statunitensi, che dovessero finire nel mirino di strategie negoziali aggressive. Nei prossimi trimestri non si può pertanto escludere una instabilità, con un incremento dei rischi di “incidenti” diplomatici legati a trattative commerciali ad alto rischio.
IMPATTI SU PIL, INFLAZIONE E UTILI AZIENDALI
Le stime sull’impatto economico di queste tariffe variano, ma potrebbero ridurre il PIL degli Stati Uniti di 0,5-1% su base annua e incrementare l’inflazione core di 0,5%. Per quanto riguarda invece gli utili aziendali dell’indice S&P 500, gli analisti azionari stimano un calo compreso tra il 2% e il 3% per il 2025, con un rischio di ulteriori perdite in caso di ritorsioni, specialmente nei settori automobilistico e agricolo, che risultano particolarmente vulnerabili. Il gettito derivante da questi dazi, invece, potrebbe portare oltre 150 miliardi di dollari nelle casse del Tesoro statunitense.
FONTE ALTERNATIVA DI ENTRATE FISCALI
“Le tariffe potrebbero pertanto essere considerate non solo come uno strumento di politica commerciale, ma anche una potenziale fonte alternativa di entrate fiscali per il governo” riferisce Amato. Uno scenario con tariffe elevate e, una volta introdotte, destinate a rimanere cambierebbe le prospettive economiche a lungo termine: le aspettative di inflazione, infatti, potrebbero subire un rialzo. In parallelo, l’eventualità di dover rivedere al ribasso le previsioni sul PIL eserciterebbe significativi impatti su un mercato azionario particolarmente sensibile alle dinamiche di crescita economica.
INEVITABILI LE NUOVE TARIFFE PER L’UE
Al momento, il rapido rinvio dei dazi nei confronti di Messico e Canada, in attesa di ulteriori trattative, sembra indicare che si tratti di misure principalmente in ottica negoziale. Le contrattazioni potrebbero riguardare questioni chiave come il controllo delle frontiere, l’applicazione delle normative antidroga e l’incremento delle importazioni di prodotti agricoli statunitensi. Anche per l’Unione Europea il Presidente Trump reputa inevitabili nuove tariffe, accompagnate da richieste strategiche, quali un aumento della spesa per la difesa da parte dei Paesi europei e l’adozione di normative più favorevoli per il settore tecnologico americano.
PRESSIONI SU PECHINO
Nel caso della Cina, infine, l’obiettivo principale sembra essere quello di costringere Pechino a rispettare gli impegni presi nell’accordo commerciale negoziato durante il primo mandato di Trump, in particolare per l’acquisto di beni e prodotti agricoli statunitensi. In aprile dovrebbero essere resi noti i rapporti dell’Ufficio del Rappresentante per il Commercio degli Stati Uniti e a quel punto Trump potrebbe decidere di introdurre ulteriori aumenti dopo il dazio del 10% appena implementato.
UNO STRUMENTO NEGOZIALE
“Restiamo convinti che i dazi possano continuare a essere considerati principalmente uno strumento negoziale, piuttosto che un mezzo per generare gettito fiscale” rivela il CIO Equities di Neuberger Berman, secondo il quale comunque negli investimenti la prudenza è d’obbligo alla luce dell’incertezza che circonda questo tema.
I FONDAMENTALI ECONOMICI STATUNITENSI RESTANO SOLIDI
“L’incertezza generata da queste politiche è tanta ma i fondamentali economici statunitensi restano solidi, sostenuti dalla forza del consumatore e dai potenziali benefici di altre politiche dell’amministrazione Trump, come la deregolamentazione. Le prospettive di crescita nominale degli Stati Uniti sono solidi come pure il potenziale di rendimento a lungo termine dei mercati azionari” spiega Amato.
UN AUMENTO DELLA VOLATILITA’ SUI MERCATI
Tuttavia, aggiunge il manager, l’incertezza legata ai dazi è in grado di spingere la volatilità sui mercati, in particolare su quelli non statunitensi, che dovessero finire nel mirino di strategie negoziali aggressive. Nei prossimi trimestri non si può pertanto escludere una instabilità, con un incremento dei rischi di “incidenti” diplomatici legati a trattative commerciali ad alto rischio.