Sunday View
Sanremo, l’armonico carrozzone che muove milioni
Non solo rimborsi e cachet per cantanti e volti noti sul palco. Dietro le quinte dell’Ariston, l’indotto del Festival della Musica Italiana che sposta milioni
di Lorenzo Cleopazzo 16 Febbraio 2025 09:30

Cinque, sette, dodici.
Fateci caso: il cinque è formato dalla somma di 3 e 2; il sette è il risultato di 3 più 4, che è il doppio di 2; il 4, se viene ripetuto per 3 volte, crea il dodici; dodici che è scritto unendo l’uno e il due, addendi che formano proprio il tanto citato 3, che poi è proprio il numero delle cifre citate inizialmente.
Vi diamo un attimo per rileggere queste righe. Potrebbe servire.
Siete ancora con noi? Bene, perché non era facile sciropparsi questa intro psichedelica da numerologia hardcore.
Ora però veniamo al perché di tutti questi numeri. Se vi sembrano campati per aria, proviamo a tradurli in altro modo: scala reale, scala armonica e scala dell’Ariston. Se state contando le lettere, vi risparmiamo la fatica: non è quello a cui si riferiscono le nostre cifre, ma agli elementi che compongono le varie scale, ovvero carte, note e gradini. Cinque carte dello stesso seme e in sequenza, per la scala reale; sette note musicali per la scala armonica, che sia minore o maggiore; infine dodici gradini per salire o per scendere l’imponente scala del teatro Ariston di Sanremo.
Carte, note e gradini: sono tre elementi che sembrano non avere nulla da spartire l’un con l’altro, eppure le tre “scale” che compongono hanno un elemento in comune.
Anzi, due! Il primo di questi è essere citati in un’intro del Sunday View, che non capita proprio tutti i giorni per una scala. Il secondo elemento in comune? Ve lo lasciamo scoprire più avanti.
Ora però andiamo sul palco dell’Ariston un’ultima volta, prima della prossima edizione del festival. Dirige l’orchestra il maestro Beppe Vessicchio. Canta: Sunday View!
Ieri è finito Sanremo. Le canzoni sono sulle piattaforme da ormai qualche giorno, e da ormai qualche giorno riempiono le onde radio delle emittenti. Belle o non belle, che ci piacciano o meno, o addirittura che chi le canta ci stia in simpatia o no, non fa differenza: tutti i pezzi in gara, indistintamente, e per 75 edizioni, hanno permesso di realizzare un evento nazionalpopolare, dai risvolti sociali ed economici, con un peso specifico non indifferente sotto diversi aspetti. Ma ora snoccioliamo qualche numero, vi va?
Spoileriamo subito il totalone: 245 milioni di euro – contro i 205, circa, dell’anno passato – a cui, poi, dovremo sommare quasi 98 milioni di valore aggiunto stimato, con un totale di oltre 1400 posti di lavoro. I dati sono ricavati da un’indagine EY, che per raggiungere questi numeri ha calcolato un peso pubblicitario e di sponsorships complessivo per 172 milioni, oltre a una stima di 500 euro a persona come spesa giornaliera tra vitto, alloggio e spostamenti. Con buona pace della Marisa di Bordighera che si vede il panettiere invaso dai giornalisti solo perché Achille Lauro voleva una focaccia.
Ma torniamo ai numeri. Per le spese organizzative, si calcola un totale di 20 milioni di euro – di cui 5 al comune di Sanremo, la metà dei quali per l’affitto e le spese dell’Ariston –. L’indotto dell’imponente kermesse per il territorio, però, è ben più sostanzioso, visti i 38 milioni di euro stimati.
Quindi bene per i posti di lavoro, bene per il turismo, ma per l’industria musicale? Bene anche per quella, e come potrebbe essere altrimenti? Tutta la filiera dovrebbe quagliare 146.5 milioni di euro, secondo le stime FIMI, la Federazione dell’Industria Musicale Italiana.
Tutto molto bello, e costoso. A ben guardare, però, non è tanto una questione di cifre, quanto di funzionamento di tutto quel carrozzone che è il Festival: dagli indotti pubblicitari fino ai costi di logistica, dal cachet dei presentatori ai fiori per i cantanti, tutto gira perfettamente. Nonostante le settantacinque edizioni sulle spalle, nonostante tutte le critiche e tutti quelli che si rifiutano ancora di guardarlo, Sanremo è sempre lì, diritto come un pilastro del nostro calendario e del nostro Paese. Qualcuno direbbe “incorruttibile”, e visto che parlavamo di numeri e di musica, quel qualcuno non può che essere proprio...
Quello del teorema, quello che aveva proibito ai suoi discepoli di mangiare le fave, quello che si diceva levitasse in aria di fronte agli studenti, e che si dice non sia neanche mai esistito: Pitagora è tutte queste e molte altre cose assieme. Per esempio, è anche il filosofo che aveva teorizzato un sistema naturale e cosmologico basato sull’armonia del numero, dove tutto rispetta un ordine ben definito e, appunto, armonico. Letteralmente: Pitagora era convinto che il movimento dei corpi celesti, composti di Etere – elemento incorruttibile ed eterno –, provocasse una melodia bellissima che l’uomo, nella sua fallacità terrena, non era più in grado di sentire. Eppure, nonostante le nostre orecchie non siano in grado di ascoltarla, quella musica c’è, ed è il risultato di un equilibrio in cui i numeri non sono solo concetti matematici, ma sono estremamente concreti, fino a diventare dei veri e propri oggetti. Più avanti i latini li chiameranno ‘calcula’ – riferendosi ai sassolini con i quali nell’antica Roma avevano anticipato abaco e calcolatrice – ma intanto i pitagorici avevano già dato un significato numerico agli elementi concreti e fondanti di quell’equilibrio a cui tanto tenevano. L’esempio più luminoso è dato dal tetraktys, la rappresentazione concreta dell’unione dei primi quattro numeri naturali: 1, l’Unità; 2, il dualismo degli opposti che si completano; 3, rappresentato come la punta di una freccia, è il movimento che anima l’esistenza; 4, come una linea, è il fondamento della vita terrena. La loro somma dà il 10, disegnato come un triangolo equilatero: l’equilibrio perfetto, l’armonia.
Si dice che Platone, pitagorico convinto, avesse affisso un cartello fuori dalla sua Accademia: chi non conosce la matematica, non può diventare filosofo. Che poi è un po’ la traslitterazione di chi lavora con la musica. Abbiamo citato le scale, ma non solo: ogni pentagramma è intriso di numeri, di armonie che se da fuori appaiono terribilmente complicate, una volta messe in atto permettono di ottenere la melodia che ci solletica i padiglioni auricolari.
Ora prendiamo tutto questo e decliniamolo in quella meravigliosa, pesante, ma perfettamente rodata macchina che è il Festival di Sanremo. Ogni edizione siamo sempre qui a ripeterci che le serate durano troppo, che le canzoni sono tutte uguali, che il presentatore dell’anno scorso era meglio... Eppure i numeri crescono, e l’armonia tra questi lo fa funzionare alla perfezione: sia quelli tra le scale armoniche dell’orchestra, sia quelli in equilibrio tra investimenti e spese.
Ma quindi quanto vale Sanremo, davvero? Per rispondere dovremmo declinare la domanda in tante prospettive differenti. Pur senza fare paragoni tra quale edizione abbia incassato di più e quale di meno, dovremmo differenziare tra sponsorizzazioni e pubblicità, tra introiti al territorio e spese logistiche, e così via. Il risultato sarebbe sempre lo stesso: un moderno tetraktys, che anziché un triangolo perfetto, è a forma di evento nazionalpopolare. Forse non altrettanto perfetto, ma assolutamente armonico.
Perché Sanremo è sempre Sanremo, anche se un po’ pitagorico.
Visti tutti questi numeri, e visto il conduttore del 2025, anche per questo Sanremo possiamo dirlo: è stato un successone, a Conti fatti.
Fateci caso: il cinque è formato dalla somma di 3 e 2; il sette è il risultato di 3 più 4, che è il doppio di 2; il 4, se viene ripetuto per 3 volte, crea il dodici; dodici che è scritto unendo l’uno e il due, addendi che formano proprio il tanto citato 3, che poi è proprio il numero delle cifre citate inizialmente.
Vi diamo un attimo per rileggere queste righe. Potrebbe servire.
Siete ancora con noi? Bene, perché non era facile sciropparsi questa intro psichedelica da numerologia hardcore.
Ora però veniamo al perché di tutti questi numeri. Se vi sembrano campati per aria, proviamo a tradurli in altro modo: scala reale, scala armonica e scala dell’Ariston. Se state contando le lettere, vi risparmiamo la fatica: non è quello a cui si riferiscono le nostre cifre, ma agli elementi che compongono le varie scale, ovvero carte, note e gradini. Cinque carte dello stesso seme e in sequenza, per la scala reale; sette note musicali per la scala armonica, che sia minore o maggiore; infine dodici gradini per salire o per scendere l’imponente scala del teatro Ariston di Sanremo.
Carte, note e gradini: sono tre elementi che sembrano non avere nulla da spartire l’un con l’altro, eppure le tre “scale” che compongono hanno un elemento in comune.
Anzi, due! Il primo di questi è essere citati in un’intro del Sunday View, che non capita proprio tutti i giorni per una scala. Il secondo elemento in comune? Ve lo lasciamo scoprire più avanti.
Ora però andiamo sul palco dell’Ariston un’ultima volta, prima della prossima edizione del festival. Dirige l’orchestra il maestro Beppe Vessicchio. Canta: Sunday View!
FANTASANREMO
Ieri è finito Sanremo. Le canzoni sono sulle piattaforme da ormai qualche giorno, e da ormai qualche giorno riempiono le onde radio delle emittenti. Belle o non belle, che ci piacciano o meno, o addirittura che chi le canta ci stia in simpatia o no, non fa differenza: tutti i pezzi in gara, indistintamente, e per 75 edizioni, hanno permesso di realizzare un evento nazionalpopolare, dai risvolti sociali ed economici, con un peso specifico non indifferente sotto diversi aspetti. Ma ora snoccioliamo qualche numero, vi va?
Spoileriamo subito il totalone: 245 milioni di euro – contro i 205, circa, dell’anno passato – a cui, poi, dovremo sommare quasi 98 milioni di valore aggiunto stimato, con un totale di oltre 1400 posti di lavoro. I dati sono ricavati da un’indagine EY, che per raggiungere questi numeri ha calcolato un peso pubblicitario e di sponsorships complessivo per 172 milioni, oltre a una stima di 500 euro a persona come spesa giornaliera tra vitto, alloggio e spostamenti. Con buona pace della Marisa di Bordighera che si vede il panettiere invaso dai giornalisti solo perché Achille Lauro voleva una focaccia.
Ma torniamo ai numeri. Per le spese organizzative, si calcola un totale di 20 milioni di euro – di cui 5 al comune di Sanremo, la metà dei quali per l’affitto e le spese dell’Ariston –. L’indotto dell’imponente kermesse per il territorio, però, è ben più sostanzioso, visti i 38 milioni di euro stimati.
Quindi bene per i posti di lavoro, bene per il turismo, ma per l’industria musicale? Bene anche per quella, e come potrebbe essere altrimenti? Tutta la filiera dovrebbe quagliare 146.5 milioni di euro, secondo le stime FIMI, la Federazione dell’Industria Musicale Italiana.
Tutto molto bello, e costoso. A ben guardare, però, non è tanto una questione di cifre, quanto di funzionamento di tutto quel carrozzone che è il Festival: dagli indotti pubblicitari fino ai costi di logistica, dal cachet dei presentatori ai fiori per i cantanti, tutto gira perfettamente. Nonostante le settantacinque edizioni sulle spalle, nonostante tutte le critiche e tutti quelli che si rifiutano ancora di guardarlo, Sanremo è sempre lì, diritto come un pilastro del nostro calendario e del nostro Paese. Qualcuno direbbe “incorruttibile”, e visto che parlavamo di numeri e di musica, quel qualcuno non può che essere proprio...
MAMBO PITAGORICO
Quello del teorema, quello che aveva proibito ai suoi discepoli di mangiare le fave, quello che si diceva levitasse in aria di fronte agli studenti, e che si dice non sia neanche mai esistito: Pitagora è tutte queste e molte altre cose assieme. Per esempio, è anche il filosofo che aveva teorizzato un sistema naturale e cosmologico basato sull’armonia del numero, dove tutto rispetta un ordine ben definito e, appunto, armonico. Letteralmente: Pitagora era convinto che il movimento dei corpi celesti, composti di Etere – elemento incorruttibile ed eterno –, provocasse una melodia bellissima che l’uomo, nella sua fallacità terrena, non era più in grado di sentire. Eppure, nonostante le nostre orecchie non siano in grado di ascoltarla, quella musica c’è, ed è il risultato di un equilibrio in cui i numeri non sono solo concetti matematici, ma sono estremamente concreti, fino a diventare dei veri e propri oggetti. Più avanti i latini li chiameranno ‘calcula’ – riferendosi ai sassolini con i quali nell’antica Roma avevano anticipato abaco e calcolatrice – ma intanto i pitagorici avevano già dato un significato numerico agli elementi concreti e fondanti di quell’equilibrio a cui tanto tenevano. L’esempio più luminoso è dato dal tetraktys, la rappresentazione concreta dell’unione dei primi quattro numeri naturali: 1, l’Unità; 2, il dualismo degli opposti che si completano; 3, rappresentato come la punta di una freccia, è il movimento che anima l’esistenza; 4, come una linea, è il fondamento della vita terrena. La loro somma dà il 10, disegnato come un triangolo equilatero: l’equilibrio perfetto, l’armonia.
REALI SCALE ARMONICHE, ALL’ARISTON
Si dice che Platone, pitagorico convinto, avesse affisso un cartello fuori dalla sua Accademia: chi non conosce la matematica, non può diventare filosofo. Che poi è un po’ la traslitterazione di chi lavora con la musica. Abbiamo citato le scale, ma non solo: ogni pentagramma è intriso di numeri, di armonie che se da fuori appaiono terribilmente complicate, una volta messe in atto permettono di ottenere la melodia che ci solletica i padiglioni auricolari.
Ora prendiamo tutto questo e decliniamolo in quella meravigliosa, pesante, ma perfettamente rodata macchina che è il Festival di Sanremo. Ogni edizione siamo sempre qui a ripeterci che le serate durano troppo, che le canzoni sono tutte uguali, che il presentatore dell’anno scorso era meglio... Eppure i numeri crescono, e l’armonia tra questi lo fa funzionare alla perfezione: sia quelli tra le scale armoniche dell’orchestra, sia quelli in equilibrio tra investimenti e spese.
Ma quindi quanto vale Sanremo, davvero? Per rispondere dovremmo declinare la domanda in tante prospettive differenti. Pur senza fare paragoni tra quale edizione abbia incassato di più e quale di meno, dovremmo differenziare tra sponsorizzazioni e pubblicità, tra introiti al territorio e spese logistiche, e così via. Il risultato sarebbe sempre lo stesso: un moderno tetraktys, che anziché un triangolo perfetto, è a forma di evento nazionalpopolare. Forse non altrettanto perfetto, ma assolutamente armonico.
Perché Sanremo è sempre Sanremo, anche se un po’ pitagorico.
BONUS TRACK
Visti tutti questi numeri, e visto il conduttore del 2025, anche per questo Sanremo possiamo dirlo: è stato un successone, a Conti fatti.
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