Sunday View
Il mistero del progetto Doge: cos’hanno in mente Musk e Trump per la nuova frontiera americana?
Gli Stati Uniti di Trump ripartono dalla tecnologia, ma soprattutto dagli uomini che la comandano. E il primo tra questi sembra avere libero accesso allo Studio Ovale
di Lorenzo Cleopazzo 23 Febbraio 2025 09:30
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Capita, a volte, che una stessa parola abbia più di un significato.
Capita in inglese con ‘right’ – corretto, ma anche destra – o ‘mean’ – meschino, ma anche significare –; capita in spagnolo con ‘banco’ – banca, ma anche banco di pesci –, ma capita anche in italiano.
Nella nostra lingua, di termini polisemici – questo il nome –, ce ne sono eccome! Pensiamo a ‘pianta’, ‘gola’, ‘ramo’ e così via. Anche la parola ‘termine’ lo è, in effetti, ma quella che ci occorre oggi è un’altra parola ancora, e l’avete anche già letta!
Non la trovate? È scritta in grande, lassù, nel titolo! Eh sì, ‘frontiera’. Il primo significato, e forse il più immediato, la leggono come una linea di confine; un altro la vede come limite e ostacolo, mentre un altro ancora, invece, è più legato ai recenti sviluppi di un certo ambito. Tutte espressioni legittime e valide, giusto? Ecco, negli Stati Uniti ci sono passati sopra come con un treno – e il riferimento, vedrete, non è casuale –, e le hanno unite sotto un unico concetto che affonda le radici nel Vecchio West, quando la ‘frontiera’ era l’ultimo lembo di terra colonizzata prima delle praterie ancora non civilizzate. Non era una linea di demarcazione, o quantomeno non una che scoraggiasse i cowboy. Anzi, tutt’altro: rappresentava il luogo più o meno figurato dove portare il progresso.
Oggi, però, l’ultima frontiera del concetto di ‘frontiera’ ce lo mette di fronte Elon Musk, che si trova a fronteggiare quelli che lui e Donald Trump hanno battezzato come “costi inutili” con il ‘suo’ Doge. Siete pronti a far fronte a quanto leggerete? Mettete su una musica di Morricone: il Sunday View in salsa western sta cominciando!
Mettere uno degli uomini più ricchi ed eccentrici del mondo a snellire la burocrazia statale: questa è stata un’altra delle geniali idee di Donald Trump come nuovo presidente statunitense, scegliere Elon Musk a capo del Department of Government Efficiency – Doge, per gli amici –.
O quantomeno questo è quello che hanno affermato gli stessi Musk e Trump, quantomeno prima di essere entrambi clamorosamente smentiti da una nota ufficiale della Casa Bianca in cui si legge che il fondatore di Tesla non è affatto l’amministratore di questo nuovo Dipartimento. Ora però vi starete giustamente chiedendo chi sia il capo del Doge, giusto? Bella domanda. Non lo sa nessuno.
Si sa però che questo nuovo dipartimento è stato accorpato allo United States Digital Service (Usds), un ente già attivo per le tecnologie per la gestione del bilancio statale. Problema: dopo l’insediamento di Trump e l’ordine esecutivo per incorporare i due dipartimenti, l’amministratrice dell’Usds, Mina Hsiang, e il suo naturale successore in grado, Ted Carstensen, si sono dimessi senza che però nessuno sia stato formalmente insignito di quel ruolo.
Ma qual è l’effettiva ratio con cui è stato annunciato questo dipartimento? Tagliare la spesa pubblica statunitense permettendo così di risparmiare denaro dei contribuenti, per dirla con le parole di Trump, e di mettere fine alla “tirannia della burocrazia”, per dirla, invece, come Musk.
In che modo? Lo abbiamo detto prima: rendendo più leggera la pubblica amministrazione e le sue spese. Risparmio e velocità nei processi: sarebbe un risultato positivo, senz’altro, ma come sarà messo in pratica? Semplice: tagliando posti di lavoro e sostituendo le persone con dei software.
A una prima lettura, l’idea di uno stato libero da una pubblica amministrazione vecchia e stantia può sembrare un sogno di quelli importanti, ma a un secondo sguardo appare più un delirio distopico, in cui migliaia di persone si ritrovano sostituite dai computer sic et simpliciter. Una pubblica amministrazione che diventa un’ibridazione uomo-macchina – più macchina che uomo, a dirla tutta –, in cui l’ultima frontiera dell’organizzazione statale del futuro è in realtà il ritorno a un’ideologia antica, forse in parte ormai sopita nella società americana, che il nuovo movimento trumpiano ha saputo risvegliare e cavalcare.
Ci sono queste due parole che appaiono, talvolta, qua e là tra chi degli Stati Uniti ha un’immagine ben chiara in mente. Due termini che qualcuno ritrova per la prima volta negli articoli di un giornalista della prima metà dell’800, altri in un discorso pronunciato da un presidente quasi un secolo più tardi. Due parole che indicano ben più di un’identità politica, un elitismo a cui la società americana doveva legittimamente appellarsi nella sua espansione lungo il Continente, diffondendo gli ideali di libertà e di sviluppo. Quello che si è poi tramutato nel cosiddetto ‘Sogno Americano’, il progetto di realizzarsi in una terra delle opportunità, in principio era stato battezzato come ‘Destino Manifesto’, ovvero la vocazione al progresso sociale, politico e tecnologico, che avrebbe portato gli Us ad elevarsi a esempio per le altre nazioni. Gli esempi più lampanti e positivi di questo idealismo arrivano dopo le due guerre mondiali: il presidente Woodrow Wilson che si fece forte promotore della Società delle Nazioni – poi diventata ONU – nel 1919, e il Piano Marshall annunciato dall’omonimo segretario di stato americano nel ’47. Il primissimo esempio, però, è ancora più vecchio, ed è l’espansione della rete ferroviaria che collegava le due coste americane. Siamo in mezzo al XIX secolo, e quella della locomotiva che si apre una strada sbuffando e strepitando lungo le praterie è forse il primo emblema di questa ideologia per gli americani: i primi a fare le cose in grande, i primi a mostrare lo strapotere del progresso contro l’arretratezza di ciò che non funziona più. L’esempio perfetto che ci riporta al nostro argomento di questo pezzo.
È una forma nuova, eppure già vista, di destino manifesto: il progresso che soppianta ciò che non va. Era un progresso tecnico quello della locomotiva, politico quello voluto da Wilson nel ’19, ed economico quello espresso dal Piano Marshall. E quello del duo Trump-Musk? Quello è un progresso super-tecnologico. Un approccio tecnocentrico a un ideale che vuole l’interesse nazionale al primo posto, che parla di libertà, anche se dettata dall’esempio luminoso di alcuni portabandiera d’élite. Una sorta di futurismo 2.0 che guarda negli occhi i vari movimenti woke e ambientalisti solo per prenderli a capocciate sui denti. Un manifesto di cyber ottimismo che vuole l’intelligenza artificiale, la robotica e la corsa allo spazio – tra le altre – al centro della crescita economica. Tutte cose per cui Musk va pazzo.
Se un tempo la locomotiva a carbone spianava le praterie al progresso, oggi è il tech che funge da traino per la società americana. Basta scartoffie fastidiose, inutili passacarte e costi superflui: qualcuno vicino all’amministrazione Trump ha detto è arrivato un nuovo sceriffo alla Casa Bianca, e questo sceriffo ha messo una taglia sulla testa dei burocrati.
In questo Far West 2.0, le cyber-locomotive sbuffano per le praterie, i tutori della legge siedono dentro uno studio ovale e i loro uomini hanno la lingua veloce e le pistole cariche di algoritmi.
Trump è un Clint Eastwood col riporto e Musk il suo Colonello Mortimer. Il titolo dello spaghetti western si scrive da solo: Per qualche Dollaro in meno.
Tra le grandi conquiste del Doge tanto decantate da Musk, ci sono molti tagli a progetti DEI – Diversity, equity, inclusion –, e diversi provvedimenti contro l’USAID - United States Agency for International Development –.
Sarà che a Musk e a Trump non piacciono gli acronimi?
Capita in inglese con ‘right’ – corretto, ma anche destra – o ‘mean’ – meschino, ma anche significare –; capita in spagnolo con ‘banco’ – banca, ma anche banco di pesci –, ma capita anche in italiano.
Nella nostra lingua, di termini polisemici – questo il nome –, ce ne sono eccome! Pensiamo a ‘pianta’, ‘gola’, ‘ramo’ e così via. Anche la parola ‘termine’ lo è, in effetti, ma quella che ci occorre oggi è un’altra parola ancora, e l’avete anche già letta!
Non la trovate? È scritta in grande, lassù, nel titolo! Eh sì, ‘frontiera’. Il primo significato, e forse il più immediato, la leggono come una linea di confine; un altro la vede come limite e ostacolo, mentre un altro ancora, invece, è più legato ai recenti sviluppi di un certo ambito. Tutte espressioni legittime e valide, giusto? Ecco, negli Stati Uniti ci sono passati sopra come con un treno – e il riferimento, vedrete, non è casuale –, e le hanno unite sotto un unico concetto che affonda le radici nel Vecchio West, quando la ‘frontiera’ era l’ultimo lembo di terra colonizzata prima delle praterie ancora non civilizzate. Non era una linea di demarcazione, o quantomeno non una che scoraggiasse i cowboy. Anzi, tutt’altro: rappresentava il luogo più o meno figurato dove portare il progresso.
Oggi, però, l’ultima frontiera del concetto di ‘frontiera’ ce lo mette di fronte Elon Musk, che si trova a fronteggiare quelli che lui e Donald Trump hanno battezzato come “costi inutili” con il ‘suo’ Doge. Siete pronti a far fronte a quanto leggerete? Mettete su una musica di Morricone: il Sunday View in salsa western sta cominciando!
BURO-TECNO-CRAZIA
Mettere uno degli uomini più ricchi ed eccentrici del mondo a snellire la burocrazia statale: questa è stata un’altra delle geniali idee di Donald Trump come nuovo presidente statunitense, scegliere Elon Musk a capo del Department of Government Efficiency – Doge, per gli amici –.
O quantomeno questo è quello che hanno affermato gli stessi Musk e Trump, quantomeno prima di essere entrambi clamorosamente smentiti da una nota ufficiale della Casa Bianca in cui si legge che il fondatore di Tesla non è affatto l’amministratore di questo nuovo Dipartimento. Ora però vi starete giustamente chiedendo chi sia il capo del Doge, giusto? Bella domanda. Non lo sa nessuno.
Si sa però che questo nuovo dipartimento è stato accorpato allo United States Digital Service (Usds), un ente già attivo per le tecnologie per la gestione del bilancio statale. Problema: dopo l’insediamento di Trump e l’ordine esecutivo per incorporare i due dipartimenti, l’amministratrice dell’Usds, Mina Hsiang, e il suo naturale successore in grado, Ted Carstensen, si sono dimessi senza che però nessuno sia stato formalmente insignito di quel ruolo.
Ma qual è l’effettiva ratio con cui è stato annunciato questo dipartimento? Tagliare la spesa pubblica statunitense permettendo così di risparmiare denaro dei contribuenti, per dirla con le parole di Trump, e di mettere fine alla “tirannia della burocrazia”, per dirla, invece, come Musk.
In che modo? Lo abbiamo detto prima: rendendo più leggera la pubblica amministrazione e le sue spese. Risparmio e velocità nei processi: sarebbe un risultato positivo, senz’altro, ma come sarà messo in pratica? Semplice: tagliando posti di lavoro e sostituendo le persone con dei software.
A una prima lettura, l’idea di uno stato libero da una pubblica amministrazione vecchia e stantia può sembrare un sogno di quelli importanti, ma a un secondo sguardo appare più un delirio distopico, in cui migliaia di persone si ritrovano sostituite dai computer sic et simpliciter. Una pubblica amministrazione che diventa un’ibridazione uomo-macchina – più macchina che uomo, a dirla tutta –, in cui l’ultima frontiera dell’organizzazione statale del futuro è in realtà il ritorno a un’ideologia antica, forse in parte ormai sopita nella società americana, che il nuovo movimento trumpiano ha saputo risvegliare e cavalcare.
DESTINO MANIFESTO
Ci sono queste due parole che appaiono, talvolta, qua e là tra chi degli Stati Uniti ha un’immagine ben chiara in mente. Due termini che qualcuno ritrova per la prima volta negli articoli di un giornalista della prima metà dell’800, altri in un discorso pronunciato da un presidente quasi un secolo più tardi. Due parole che indicano ben più di un’identità politica, un elitismo a cui la società americana doveva legittimamente appellarsi nella sua espansione lungo il Continente, diffondendo gli ideali di libertà e di sviluppo. Quello che si è poi tramutato nel cosiddetto ‘Sogno Americano’, il progetto di realizzarsi in una terra delle opportunità, in principio era stato battezzato come ‘Destino Manifesto’, ovvero la vocazione al progresso sociale, politico e tecnologico, che avrebbe portato gli Us ad elevarsi a esempio per le altre nazioni. Gli esempi più lampanti e positivi di questo idealismo arrivano dopo le due guerre mondiali: il presidente Woodrow Wilson che si fece forte promotore della Società delle Nazioni – poi diventata ONU – nel 1919, e il Piano Marshall annunciato dall’omonimo segretario di stato americano nel ’47. Il primissimo esempio, però, è ancora più vecchio, ed è l’espansione della rete ferroviaria che collegava le due coste americane. Siamo in mezzo al XIX secolo, e quella della locomotiva che si apre una strada sbuffando e strepitando lungo le praterie è forse il primo emblema di questa ideologia per gli americani: i primi a fare le cose in grande, i primi a mostrare lo strapotere del progresso contro l’arretratezza di ciò che non funziona più. L’esempio perfetto che ci riporta al nostro argomento di questo pezzo.
CYBER SPAGHETTI WESTERN
È una forma nuova, eppure già vista, di destino manifesto: il progresso che soppianta ciò che non va. Era un progresso tecnico quello della locomotiva, politico quello voluto da Wilson nel ’19, ed economico quello espresso dal Piano Marshall. E quello del duo Trump-Musk? Quello è un progresso super-tecnologico. Un approccio tecnocentrico a un ideale che vuole l’interesse nazionale al primo posto, che parla di libertà, anche se dettata dall’esempio luminoso di alcuni portabandiera d’élite. Una sorta di futurismo 2.0 che guarda negli occhi i vari movimenti woke e ambientalisti solo per prenderli a capocciate sui denti. Un manifesto di cyber ottimismo che vuole l’intelligenza artificiale, la robotica e la corsa allo spazio – tra le altre – al centro della crescita economica. Tutte cose per cui Musk va pazzo.
Se un tempo la locomotiva a carbone spianava le praterie al progresso, oggi è il tech che funge da traino per la società americana. Basta scartoffie fastidiose, inutili passacarte e costi superflui: qualcuno vicino all’amministrazione Trump ha detto è arrivato un nuovo sceriffo alla Casa Bianca, e questo sceriffo ha messo una taglia sulla testa dei burocrati.
In questo Far West 2.0, le cyber-locomotive sbuffano per le praterie, i tutori della legge siedono dentro uno studio ovale e i loro uomini hanno la lingua veloce e le pistole cariche di algoritmi.
Trump è un Clint Eastwood col riporto e Musk il suo Colonello Mortimer. Il titolo dello spaghetti western si scrive da solo: Per qualche Dollaro in meno.
BONUS TRACK
Tra le grandi conquiste del Doge tanto decantate da Musk, ci sono molti tagli a progetti DEI – Diversity, equity, inclusion –, e diversi provvedimenti contro l’USAID - United States Agency for International Development –.
Sarà che a Musk e a Trump non piacciono gli acronimi?
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