L'analisi
Usa meno esposti ai dazi, l’impatto sui prezzi non dovrebbe allarmare la Fed
Lo sottolinea AllianceBernstein in un'analisi preliminare delle implicazioni della guerra commerciale di Eric Winograd, secondo cui l’economia americana è meno sensibile di altre al commercio estero
di Stefano Caratelli 4 Marzo 2025 13:18

Dopo le prime scaramucce, sembra che le tensioni commerciali siano destinate a durare a lungo, dopo che Trump ha annunciato i dazi su Canada, Messico e Cina. Al momento non è possibile stabilire con precisione come evolverà la situazione ma le tensioni riguardano i tre maggiori partner commerciali degli USA che insieme rappresentano il 40% circa delle importazioni, oltre 1.000 miliardi di dollari di merci l'anno, e per chi importa beni da questi Paesi il dazio equivale a un'imposta. Questo avrà il probabile effetto di frenare la crescita, sottraendo denaro dalle tasche dei consumatori, ma l'impatto è più difficile da valutare rispetto alle politiche fiscali tradizionali, perché nella maggior parte dei casi il dazio viene pagato dalle imprese alla frontiera, e non direttamente dalle famiglie.
AllianceBernstein, in un'analisi preliminare delle implicazioni dei dazi a cura di Eric Winograd, Director Developed Market Economic Research, sottolinea che bisogna quindi stabilire se i maggiori costi delle imprese vengono trasferiti ai consumatori aumentando i prezzi, e in che misura. Winograd ricorda che nella guerra commerciale del 2018 quasi tutti i nuovi dazi si sono tradotti in un aumento dei prezzi al consumo, e prevede che lo stesso accadrà questa volta, ma senza effetti inflazionistici tali da preoccupare la Fed, che si focalizza su pressioni durature e non su aggiustamenti una tantum.
I dazi rientrano più in questa casistica, e di conseguenza, secondo l’esperto di AllianceBernstein, la politica commerciale non dovrebbe alterare sostanzialmente la traiettoria della politica monetaria: la Fed valuterà il trade-off tra rallentamento della crescita e aumento dei prezzi, anziché reagire preventivamente. Ma è probabile che le conseguenze dei dazi vadano ben oltre l’impatto diretto, e anche se i maggiori costi sono trasferiti ai consumatori, le imprese potrebbero essere costrette a riorganizzare le catene di fornitura, andando incontro a un processo potenzialmente costoso e oneroso.
È inoltre plausibile, prosegue Winograd nella sua analisi, che altri Paesi introducano dazi reciproci sulle merci USA: il Canada ha già manifestato quest'intenzione, e misure di ritorsione comporterebbero un costo per gli esportatori USA. Inoltre, se l'esperienza del 2018 insegna qualcosa, i mercati finanziari potrebbero non apprezzare. L’esperto di AllianceBernstein prevede anche un rafforzamento del dollaro, in linea con quanto accaduto da quando è parso evidente che le elezioni USA avrebbero condotto ai dazi.
Il trend sui mercati azionari non è altrettanto chiaro, ma Winograd si aspetta come minimo un aumento della volatilità a fronte del protrarsi della guerra commerciale nei prossimi mesi, osservando che per gli USA i costi della guerra dei dazi sono più gestibili. Gli USA entrano infatti in questo periodo di accresciuta incertezza in una posizione di forza e stabilità, e da mesi la crescita, il mercato del lavoro e l'inflazione mostrano un andamento regolare, mentre l'economia nel suo insieme si presenta in equilibrio. E questo dovrebbe conferirle una certa resilienza anche al mutare del quadro di politica monetaria.
Inoltre, sottolinea in conclusione Winograd, l'economia USA non è particolarmente sensibile al commercio estero, rilevando che un criterio spesso usato per misurare questa sensibilità è l'apertura commerciale, definita dalla somma di importazioni ed esportazioni in percentuale del prodotto interno lordo. E gli USA, con un grado di apertura commerciale relativamente basso al 27%, sembrano meno esposti alle disastrose conseguenze di una guerra dei dazi rispetto ad altri Paesi in cui il commercio internazionale riveste un'importanza di gran lunga maggiore nell'economia.
NON ATTESI EFFETTI INFLAZIONISTICI CHE PREOCCUPINO LA FED
AllianceBernstein, in un'analisi preliminare delle implicazioni dei dazi a cura di Eric Winograd, Director Developed Market Economic Research, sottolinea che bisogna quindi stabilire se i maggiori costi delle imprese vengono trasferiti ai consumatori aumentando i prezzi, e in che misura. Winograd ricorda che nella guerra commerciale del 2018 quasi tutti i nuovi dazi si sono tradotti in un aumento dei prezzi al consumo, e prevede che lo stesso accadrà questa volta, ma senza effetti inflazionistici tali da preoccupare la Fed, che si focalizza su pressioni durature e non su aggiustamenti una tantum.
I DAZI IMPATTERANNO ANCHE LE CATENE DI FORNITURA
I dazi rientrano più in questa casistica, e di conseguenza, secondo l’esperto di AllianceBernstein, la politica commerciale non dovrebbe alterare sostanzialmente la traiettoria della politica monetaria: la Fed valuterà il trade-off tra rallentamento della crescita e aumento dei prezzi, anziché reagire preventivamente. Ma è probabile che le conseguenze dei dazi vadano ben oltre l’impatto diretto, e anche se i maggiori costi sono trasferiti ai consumatori, le imprese potrebbero essere costrette a riorganizzare le catene di fornitura, andando incontro a un processo potenzialmente costoso e oneroso.
IL COSTO PER GLI IMPORTATORI E L’EFFETTO DOLLARO
È inoltre plausibile, prosegue Winograd nella sua analisi, che altri Paesi introducano dazi reciproci sulle merci USA: il Canada ha già manifestato quest'intenzione, e misure di ritorsione comporterebbero un costo per gli esportatori USA. Inoltre, se l'esperienza del 2018 insegna qualcosa, i mercati finanziari potrebbero non apprezzare. L’esperto di AllianceBernstein prevede anche un rafforzamento del dollaro, in linea con quanto accaduto da quando è parso evidente che le elezioni USA avrebbero condotto ai dazi.
ATTESO AUMENTO DELLA VOLATILITÀ AZIONARIA
Il trend sui mercati azionari non è altrettanto chiaro, ma Winograd si aspetta come minimo un aumento della volatilità a fronte del protrarsi della guerra commerciale nei prossimi mesi, osservando che per gli USA i costi della guerra dei dazi sono più gestibili. Gli USA entrano infatti in questo periodo di accresciuta incertezza in una posizione di forza e stabilità, e da mesi la crescita, il mercato del lavoro e l'inflazione mostrano un andamento regolare, mentre l'economia nel suo insieme si presenta in equilibrio. E questo dovrebbe conferirle una certa resilienza anche al mutare del quadro di politica monetaria.
USA MENO ESPOSTI GRAZIE A BASSA APERTURA COMMERCIALE
Inoltre, sottolinea in conclusione Winograd, l'economia USA non è particolarmente sensibile al commercio estero, rilevando che un criterio spesso usato per misurare questa sensibilità è l'apertura commerciale, definita dalla somma di importazioni ed esportazioni in percentuale del prodotto interno lordo. E gli USA, con un grado di apertura commerciale relativamente basso al 27%, sembrano meno esposti alle disastrose conseguenze di una guerra dei dazi rispetto ad altri Paesi in cui il commercio internazionale riveste un'importanza di gran lunga maggiore nell'economia.