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Tariff Man

Il “partito di Wall Street” conta più di Trump, e questo è bene

Il presidente accusa i “globalisti” per i pesanti ribassi di Borsa di questa settimana, ma in realtà ha capito che il mercato gli ha mandato segnale forte contro i troppi dazi e ora fa parziale marcia indietro

di Controredazione 7 Marzo 2025 12:00

financialounge
Quella che si sta chiudendo è stata la settimana degli ormai famigerati dazi Usa contro mezzo mondo. Non solo contro la Cina, ma anche verso Paesi storicamente alleati degli Stati Uniti, dal Canada fino a tutta Europa. Trump li aveva annunciati e li ha messi ora in atto, o meglio ci sta provando, perché la reazione soprattutto delle Borse, a partire dalla americanissima Wall Street è stata pesante, con massicci ribassi. De facto un giudizio negativo, molto negativo, recapitato al presidente. E non è un caso che ora Trump abbia ingranato almeno in parte la retromarcia, rinviando di un mese il grosso dei dazi a Messico e Canada

TRUMP E IL SELL-OFF A WALL STREET


Trump ovviamente non l’ha presa bene. Il presidente dal dazio facile ora se la prende con i “globalisti”. Dice che è colpa loro se c’è stato sell-off a Wall Street. Serve sempre un nemico e quindi ora sarebbero questi non meglio precisati “globalisti" la causa dei massicci ribassi dei listini azionari, non i timori legati a un uso su larghissima scala dei dazi. “Molti di loro non se la passeranno bene, perché ci stiamo riprendendo cose che ci sono state portate via anni fa”, così ha detto, senza poi aggiungere troppi dettagli. Secondo Trump ai globalisti non piace vedere un Paese che sarà più ricco. Sarà, ma dalle parti di Wall Street di solito la ricchezza piace, e il presidente che viene dal mondo degli affari questo lo sa bene. Dunque, più semplicemente un uso così massivo dei dazi anche verso Paesi amici ha spaventato il mercato. Perché viviamo in un mondo interconnesso, dove peraltro tante aziende americane hanno forti partecipazioni in aziende non americane, e quindi una neo-autarchia non può che preoccupare i mercati. L’isolazionismo a colpi di dazi vuol dire poi soprattutto rischio di inflazione, per un mondo, a partire dagli Usa, che viene da anni recenti in cui si è dovuta domare l’inflazione a colpi di tassi, come sa bene la Fed, che peraltro deve ancora finire il lavoro in questo senso.

AL MERCATO NON PIACCIONO TROPPI DAZI


Ora appunto Trump ha deciso di rinviare di un mese una grossa fetta di dazi a Messico e Canada. Dice che su questa decisione non hanno pesato i pesanti ribassi a Wall Street. “Non ha nulla a che fare con il mercato, non sto nemmeno guardando il mercato”, così ha detto. Ma, diciamocelo, non ha convinto nessuno, soprattutto proprio sul mercato. Ha riconosciuto peraltro che i dazi possono per un periodo creare problemi anche sui listini azionari, ha parlato di “disagi”. Ma qui siamo ben oltre i piccoli disagi, il suo partire a tutto spiano con i dazi a tutti e su tutto ha generato ovviamente ansia. Sia chiaro, e questo vogliamo dirlo, i dazi non sono un male assoluto, sono uno strumento che può essere usato, ma va ben calibrato tenendo conto di tutte le conseguenze e effetti indotti. Perché è roba pesante, che non può essere usata con leggerezza. Se si esagera, confondendo quello che puoi dire in campagna elettorale con quello che poi puoi concretamente fare in politica economica, diventa un bel problema. E dalle parti di Wall Street tutto questo lo sanno bene e soprattutto lo sanno pesare.

IL “PARTITO DI WALL STREET”


Già, Wall Street. La verità è che il sell-off sul mercato azionario ha mandato un pesante segnale alla Casa Bianca dei dazi: così non va bene, non bisogna esagerare. E Trump ha dovuto prenderne atto e cominciare a darsi una regolata. Perché, inutile girarci intorno, Wall Street negli Usa ha un peso fondamentale. E uno su tutti, basti pensare a cosa ha subito detto Warren Buffett, l’oracolo di Omaha si è scagliato contro i maxi dazi. La verità è che negli Stati Uniti si può governare contro tutti, ma non contro Wall Street. Il “partito di Wall Street” negli Usa conta più di quello repubblicano e di quello democratico. E questo alla fine è un bene. Perché, seppur con tutti i suoi limiti, il mondo della finanza mantiene sempre una razionalità che forse a volte i politici perdono per ragioni di propaganda. Questo pragmatismo finanziario finisce per agire come fattore regolatore per la politica. È forse proprio quello che sta succedendo ora negli Usa. Non si può tenere il partito di Wall Street all’opposizione, bisogna ascoltarlo.

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