Guerra commerciale

Perché il metodo di calcolo dei dazi di Trump è sbagliato

Alexis Bienvenu, Fund Manager di La Financière de l’Échiquier, giudica le tariffe americane “scollegate dall’economia reale” e spiega per quale motivo la formula utilizzata ha poco senso

di Antonio Cardarelli 7 Aprile 2025 14:15

financialounge -  dazi trump economia La Financière de l'Echiquier
Dopo l’annuncio dei dazi “reciproci” lo scorso 2 aprile, le Borse globali hanno imboccato una strada di pesantissimi ribassi. Quasi una settimana più tardi non si vedono spiragli nel tunnel della guerra commerciale imboccato dall’amministrazione Trump nel giorno del Liberation Day. E molti analisti, come quelli di Goldman Sachs, cominciano a vedere come sempre più concreta la possibilità di una recessione americana.

TRUMP VUOLE FARE GIUSTIZIA


Alexis Bienvenu, Fund Manager di La Financière de l’Échiquier, in un commento scritto il 4 aprile (praticamente subito dopo i dazi annunciati da Trump) fa il punto sulle scelte della Casa Bianca e sulle conseguenze. Secondo l’esperto di La Financière de l’Échiquier, la formula di Trump ignora l’economia reale e sembra finalizzata solamente a “fare giustizia” dei Paesi che finora “con malizia, hanno approfittato dell’eccessiva generosità degli Usa”, con il presidente che “salva gli Stati Uniti da una situazione di sottomissione di fronte a potenze straniere malvagie”. Ma la realtà, sottolinea Bienvenu, è che Trump “nell’immediato sta infliggendo ai consumatori americani un aumento massiccio del prezzo dei beni importati e, di conseguenza, un probabile calo dei consumi che potrebbe spingersi fino a innescare una recessione”.

CALCOLO SBAGLIATO


L’esperto di La Financière de l’Échiquier spiega che “la base stessa del ragionamento sui dazi è priva di ogni valore” perché il calcolo dei dazi “reciproci” è basato su una formula che “nessun economista riconosciuto considera appropriata in quanto riflette il solo rapporto tra il deficit commerciale degli Stati Uniti nei confronti di un Paese e gli scambi totali di beni con lo stesso Paese, e non una tassazione”. Una formula che non tiene conto dell’economia reale e delle cause che possono provocare un deficit, come per esempio quando un prodotto non può essere importato che da un determinato Paese vista la sua specificità. Inoltre, ricorda Bienvenu, la formula utilizzata da Washington ignora persino la metà quasi dell'economia degli scambi poiché include solo gli scambi di beni e non di servizi, mentre in questo settore gli americani vantano generalmente un eccedente. “Se gli europei, che in questo ambito sono deficitari, applicassero la formula di Trump agli scambi di servizi, dovrebbero tassare pesantemente i redditi generati, ad esempio, da Google, Visa o Disney. Ispirata indirettamente da Trump, l'idea si sta facendo strada a Bruxelles”, spiega l’esperto.

LE PRECEDENTI GUERRE COMMERCIALI


Infine, conclude Bienvenu, c'è la realtà storica delle guerre commerciali che Trump non ha necessariamente valutato correttamente. “Se si esaminano le guerre commerciali portate avanti dagli Stati Uniti o da altri Paesi ci si rende conto che queste guerre hanno un costo talmente elevato in termini di ritorsioni commerciali che finiscono generalmente per essere abbandonate – commenta l’esperto di La Financière de l’Échiquier - È stato il caso, ad esempio, della guerra commerciale del presidente McKinley, un ideale a cui Trump fa riferimento. Presidente protezionista dal 1897 al 1901, dichiarò tuttavia nel suo ultimo discorso prima di essere assassinato: “Le guerre commerciali non sono redditizie. Una politica di buona volontà e di relazioni commerciali amichevoli impedirà le rappresaglie.” Speriamo di non dover aspettare l'ultimo giorno di Trump perché giunga alla stessa conclusione del suo idolo”.

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