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Quanto c’è da aver paura dei dazi di Trump? Ecco gli scenari possibili
Il peggiore è una guerra totale, il più desiderabile un negoziato con concessioni reciproche. II fattore tempo è cruciale, e se le turbolenze durano troppo ci si fa male. Il precedente di Nixon
di Stefano Caratelli 7 Aprile 2025 08:16

Il 2 aprile Trump ha sferrato un pugno nello stomaco a nemici e alleati globali, con onde d’urto violente sui mercati, che quasi nessuno si aspettava. Tutti credevano che sarebbe stata la solita sparata vocale, fino a che non ha tirato fuori la tabellina dei dazi paese per paese. I futures di Wall Street, appena chiusa, che viaggiavano in positivo, sono andati subito a picco, seguiti per tutta la settimana dagli altri mercati, a cominciare dall’Europa, con dollaro e rendimenti dei Treasury che imboccavano la discesa. Per trovare nella storia qualcosa del genere non bisogna risalire agli Anni 30 tra le due guerre, che molti sbagliando oggi evocano, basta tornare al Ferragosto del 1971, mezzo e passa secolo fa, quando Nixon sganciò a sorpresa il dollaro dall’oro, facendo schizzare al rialzo le monete dei concorrenti commerciali, a cominciare da Germania e Giappone, e imponendo allo stesso tempo dazi del 10% su tutte le importazioni in USA.
L’obiettivo di Nixon era lo stesso di Trump, supportare l’industria e l’occupazione USA sottraendo ai concorrenti un vantaggio giudicato ingiusto. Ma non lo erano i tempi. L’URSS era un competitor politico-militare, ma non commerciale, la Cina era un grande paese agricolo e affamato, e India con il resto dell’Asia non se la passavano meglio, con l’eccezione del Giappone. Oggi la globalizzazione, anche se da qualche anno meno uniforme, trasmette attraverso i mercati alla velocità della luce gli scossoni come quello fatto partire da Trump dal giardino delle rose della Casa Bianca meno di una settimana fa, che dalle Borse potrebbe contagiare le economie, colpendo i consumi e riaccendendo l’inflazione, con l’esito finale di una recessione.
Alla fine, Trump ha solo fatto quello che aveva promesso, mettendo nel conto anche sofferenze a breve per ottenere risultati alla fine, ma molti si aspettavano una replica di otto anni fa, quando spesso molte minacce rimanevano sulla carta. E invece ha fatto un “all in”, e gli altri seduti al tavolo verde planetario non sanno se rilanciare, andare a vedere, o ritirarsi in buon ordine lasciandogli tutta la posta. Intanto le guerre in Ucraina e Medio Oriente sono sparite dalle prime pagine, la grande paura contagia gli investitori, e la Cina tenta di prendere il posto degli USA come centro di attrazione di scambi e investimenti dall’Europa e dal resto del mondo. Quanto c’è da aver paura davvero? Sembra il momento della pazienza e del ragionamento più che del panico, valutando le conseguenze possibili.
Quella meno desiderabile è che si scateni una guerra totale dei dazi, con ritorsioni e contro-ritorsioni a catena, che farebbero male a tutti, sicuramente agli USA, all’Europa, ma anche alla Cina. La seconda è che alla fine Trump possa spuntarla, pagando però il prezzo anche di una recessione oltre che di un arretramento di Wall Street nel territorio dell’Orso, con Europa probabilmente al seguito. Qui il problema sono i tempi, se fossero troppo lunghi e le turbolenze dovessero durare oltre la primavera-estate, il danno sarebbe molto difficile da riparare. Il terzo e più desiderabile scenario è che partner e concorrenti degli USA riconoscano che Trump qualche ragione ce l’ha, e inizino a negoziare su cosa realisticamente concedergli senza doversi impiccare. Magari con l’aiuto di una “quinta colonna” all’interno della stessa amministrazione che aiuti ad “ammorbidire” il presidente.
Bottom line. Insomma, il fattore tempo sembra la chiave di lettura principale. Dal punto di vista dell’investitore, non è il momento di correre a comprare sui minimi per rapinare rapidi guadagni, ma di cogliere l’opportunità per rafforzare il posizionamento dove ci sono maggiori presidi per superare la crisi a livello di fondamentali, basandosi sulle indicazioni che usciranno dalla stagione delle trimestrali che sta per iniziare.
L’EFFETTO PERVERSO A CASCATA SULLE ECONOMIE
L’obiettivo di Nixon era lo stesso di Trump, supportare l’industria e l’occupazione USA sottraendo ai concorrenti un vantaggio giudicato ingiusto. Ma non lo erano i tempi. L’URSS era un competitor politico-militare, ma non commerciale, la Cina era un grande paese agricolo e affamato, e India con il resto dell’Asia non se la passavano meglio, con l’eccezione del Giappone. Oggi la globalizzazione, anche se da qualche anno meno uniforme, trasmette attraverso i mercati alla velocità della luce gli scossoni come quello fatto partire da Trump dal giardino delle rose della Casa Bianca meno di una settimana fa, che dalle Borse potrebbe contagiare le economie, colpendo i consumi e riaccendendo l’inflazione, con l’esito finale di una recessione.
LA CINA APPROFITTA E PROVA A METTERSI AL CENTRO DEI GIOCHI
Alla fine, Trump ha solo fatto quello che aveva promesso, mettendo nel conto anche sofferenze a breve per ottenere risultati alla fine, ma molti si aspettavano una replica di otto anni fa, quando spesso molte minacce rimanevano sulla carta. E invece ha fatto un “all in”, e gli altri seduti al tavolo verde planetario non sanno se rilanciare, andare a vedere, o ritirarsi in buon ordine lasciandogli tutta la posta. Intanto le guerre in Ucraina e Medio Oriente sono sparite dalle prime pagine, la grande paura contagia gli investitori, e la Cina tenta di prendere il posto degli USA come centro di attrazione di scambi e investimenti dall’Europa e dal resto del mondo. Quanto c’è da aver paura davvero? Sembra il momento della pazienza e del ragionamento più che del panico, valutando le conseguenze possibili.
I TRE SCENARI POSSIBILI, POTREBBE SPUNTARE UNA QUINTA COLONNA USA
Quella meno desiderabile è che si scateni una guerra totale dei dazi, con ritorsioni e contro-ritorsioni a catena, che farebbero male a tutti, sicuramente agli USA, all’Europa, ma anche alla Cina. La seconda è che alla fine Trump possa spuntarla, pagando però il prezzo anche di una recessione oltre che di un arretramento di Wall Street nel territorio dell’Orso, con Europa probabilmente al seguito. Qui il problema sono i tempi, se fossero troppo lunghi e le turbolenze dovessero durare oltre la primavera-estate, il danno sarebbe molto difficile da riparare. Il terzo e più desiderabile scenario è che partner e concorrenti degli USA riconoscano che Trump qualche ragione ce l’ha, e inizino a negoziare su cosa realisticamente concedergli senza doversi impiccare. Magari con l’aiuto di una “quinta colonna” all’interno della stessa amministrazione che aiuti ad “ammorbidire” il presidente.
Bottom line. Insomma, il fattore tempo sembra la chiave di lettura principale. Dal punto di vista dell’investitore, non è il momento di correre a comprare sui minimi per rapinare rapidi guadagni, ma di cogliere l’opportunità per rafforzare il posizionamento dove ci sono maggiori presidi per superare la crisi a livello di fondamentali, basandosi sulle indicazioni che usciranno dalla stagione delle trimestrali che sta per iniziare.
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