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Come interpretare i messaggi chiave in arrivo dalle banche centrali

In settimana si riuniscono la FED e la Bce: focus sulle dichiarazioni sulla curva dei tassi americani e sulle ipotesi circa il possibile primo rialzo dei tassi nella zona euro.

12 Giugno 2018 10:02

I riflettori questa settimana tornano sulle principali banche centrali: mercoledi 13 è infatti previsto l’incontro del FOMC (Federal Open Market Committee, l’organismo che in seno alla Federal Reserve decide in tema di tassi di interesse USA) e, il giorno successivo, quello della BCE. Il mercato dà quasi per scontato che sarà annunciato un aumento di 25 punti base (+0,25%) da parte del FOMC (secondo Bloomberg, tale ipotesi ha un 82% di probabilità).

LA FORMA DELLA CURVA DEI TASSI USA


“Siamo d'accordo con questo punto di vista, data la perdurante forza dell'economia. In effetti, il report estremamente positivo sulla disoccupazione statunitense di venerdì scorso, dovrebbe eliminare i dubbi dei membri del Federal Open Market Committee che ancora non si erano schierati” commenta Mark Holman, CEO di TwentyFour Asset Management (gruppo Vontobel Asset Management). Alla luce di questa decisione ‘data ormai per scontata’, l’attenzione dell’esperto è sulla forma della curva dei rendimenti americani e sulle riflessioni che su di essa faranno i membri del FOMC.

UNA CURVA PIATTA COME NEL 2007


A questo proposito, occorre ricordare che la scorsa settimana lo spread (differenziale di rendimento) tra il titolo di stato USA (Treasury) a due anni e quello a 10 anni ha toccato i 42 punti base (0,42%), andando a configurare la curva più piatta dal 2007. Non solo. L'ultima volta che la Fed affrontava una curva di tassi così piatta era nel giugno 2006, dopo aver rialzato i tassi per 17 volte di seguito in due anni: se mercoledi la banca centrale americana rialzerà i tassi, si tratterebbe soltanto del settimo rialzo mentre la curva è già a un livello altrettanto piatto come nel 2006.

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DUBBI SUL PROSEGUIMENTO DEL RIALZO DEI TASSI USA


“Ascolteremo quindi con molta attenzione la conferenza stampa, poiché dubitiamo seriamente che il Federal Open Market Committee sarà disposto a portare a termine tutti gli aumenti che i suoi membri stanno attualmente programmando, soprattutto se questo slancio di appiattimento dovesse continuare” specifica Mark Holman, convinto che sarà di fondamentale importanza interpretare i messaggi chiave al fine di posizionarsi in modo corretto lungo la curva dei rendimenti. Perché c’è una bella differenza tra il discutere sulla mancanza di un premio per le posizioni di lungo temine rispetto a quelle di breve piuttosto che frenare i prossimi aumenti permettendo all'inflazione di andare leggermente oltre i tassi a breve.

GIOVEDÌ È IL TURNO DELLA BCE


Giovedi toccherà poi alla BCE e Mark Holman prevede, in linea con la maggioranza del consenso di mercato, che i 30 miliardi di euro mensili di acquisti di obbligazioni e titoli di stato della zona euro saranno ridotti alla fine di settembre, prima che cessino completamente alla fine del 2018.

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“È vero che il bilancio della banca centrale europea resterà invariato e che le scadenze continueranno ad essere reinvestite. Tuttavia, la riduzione fino all’azzeramento completo del QE avrà un impatto sui titoli di stato della zona euro e non sarà positivo per il mercato obbligazionario euro. Insomma, alla luce delle turbolenze in Italia della scorsa settimana il Tesoro italiano e il suo nuovo governo avranno un bel da fare per collocare i titoli di stato” puntualizza Mark Holman. Secondo l’esperto, però, l’aspetto di maggior rilievo da tenere presente per i prossimi mesi sarà il periodo di tempo in cui i tassi rimarranno invariati dopo la fine del programma di acquisto.

TASSI FERMI PER ALTRI 12 MESI


“Anche perché, finora Draghi ha sempre usato in modo generico la definizione di ‘tempo considerevole’, che i mercati hanno interpretato come circa 6 mesi. Questo significherebbe che molto probabilmente siamo ancora a circa 12 mesi di distanza dal primo aumento nella zona euro” conclude Mark Holman.
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